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Udine, la stirpe Felluga: tradizione, innovazione, coraggio

Tempo di lettura: 4 minuti

Sesta generazione della storica famiglia vinicola. Ilaria racconta la sua visione: sfide, inclusività e una nuova comunicazione

di Camilla Rocca

Nasce a Udine nel 1995 e rappresenta la sesta generazione di una lunga dinastia di viticoltori, la cui fondazione risale alla seconda parte dell’Ottocento a Isola d’Istria e poi si trasferisce in Friuli Venezia Giulia. Ilaria Felluga si forma presso l’Università di Viticoltura ed Enologia di Udine. Oggi, seguendo le orme del nonno Marco e del padre Roberto, è alla guida delle realtà vitivinicole Marco Felluga – Russiz Superiore. In questo momento in cantina si occupa del commerciale, lavora come brand ambassador, e organizza incoming/visite/eventi in cantina.

Cos’è per te la Next Generation nel mondo del vino? E perché pensi sia un tema così forte in questo momento storico?

La Next Gen nel mondo del vino per me è fondamentale: è e sarà quella generazione che riavvicinerà, almeno in parte, i giovanissimi al mondo del beverage tramite una comunicazione fresca e comprensibile, ma soprattutto alla mano e divertente. Noi rappresentiamo, come generazione, chi deve far capire che il mondo del vino non è inarrivabile, che non bisogna spaventarsi davanti ad una carta vini importante, che chiedere è sempre giusto e che il vino fa parte della nostra cultura da 2600 anni.

La nuova generazione fa ormai parte di un movimento che promuove l’inclusività e l’aggregazione. Un esempio che porto sempre con me è la rete del Pinot Bianco del Collio: l’unione di 6 produttori del Collio che si sono uniti per parlare di un vitigno quasi dimenticato. L’idea nasce da mio nonno Marco, nel 2019 inizia concretamente a prendere forma e dopo diverse riunioni e scambi di opinioni arriviamo alla creazione del gruppo.

Sostenibilità nel vino: un modo per riempirsi la bocca o importa davvero alla Next Generation?

Il rispetto per la natura, in tutto quello che facciamo, è fondamentale per poter garantire un futuro alle prossime generazioni. Quindi non deve e non può essere solo un tema di marketing ma di impegno concreto. Nel nostro piccolo adottiamo delle pratiche agronomiche sostenibili, per esempio ci siamo dotati di un impianto fotovoltaico che ricopre quasi interamente il fabbisogno energetico di Russiz Superiore. Inoltre abbiamo ridotto il peso delle nostre bottiglie. Sono piccoli gesti che nel complesso riducono il nostro impatto sull’ambiente. E i giovani ci stanno molto attenti, si informano, leggono prima di compiere qualsiasi acquisto. La qualità premia in tal senso, soprattutto tra la Generazione Z e i Millenial.

Quanto è importante, oggi, avere un volto in azienda che racconti il brand?

Per me è fondamentale. Metterci la faccia è fondamentale, e chiaramente i rapporti con le persone fanno la differenza. Per l’appunto, quante volte guardi una bottiglia e ci vedi dietro la persona che la produce? Io sempre. E poi avere qualcuno che con passione si dedichi a raccontare la storia dietro un vino è un vero valore aggiunto

C’è stato qualche “scontro generazionale” da quando sei entrata in azienda?

La mia famiglia mi ha sempre stata lasciata libera di fare quello che avevo piacere di fare. Ricordo le parole di mio padre Roberto: “Ilaria tu hai carta bianca, devi fare quello che ti piace”. Io ero molto indecisa sulla strada da intraprendere a livello di studi e mi prendo, come si dice un ‘gap year’. A questo punto mio padre mi suggerisce in questo anno sabbatico di almeno imparare l’inglese. Finisco così a Londra e alla fine di questo periodo dove lavoravo e andavo a scuola di inglese, mio padre torna a prendermi, ma prima della ripartenza mi comunica che ci sarebbe stata una cena degustazione in un ristorante stellato nel centro della città londinese. Ci incontriamo lì, per me era uno dei primissimi eventi ai quali partecipavo in via ufficiale. Qui la svolta e la mia decisione di iscrivermi a Viticoltura ed Enologia a Udine.

Importatori, commerciali, ti hanno mai “considerato meno” in quanto giovane? Donna? E all’estero?

Il “Big Jump” che ho dovuto affrontare è stato l’ingresso in cantina, e nello specifico in vendemmia. Studiando Viticoltura ed Enologia c’è da curriculum universitario uno stage, chiesi a mio padre di poterlo fare in cantina da noi, non avendo mai vissuto il nostro ambiente nel vivo, lui mi rispose che andava bene, ma che sarei stata ai comandi del nostro enologo. Ricordo che sparii dalla vita sociale per tutto il mese e mezzo di vendemmia: volevo dimostrare che per forza di cose ero la figlia del capo, la più giovane, la più inesperta, l’unica donna, ma che ero volenterosa di imparare in fretta e di “farmi il mazzo. Andò molto bene, che mi assunsero anche per la stagione successiva e in definitiva entrai in azienda. Ritengo invece ci sia una differenza sostanziale tra Italia e estero. In Italia tra la giovane età e il fatto di essere donna, talvolta non valorizza il proprio lavoro. A mio parere invece l’estero invece si interfaccia sempre con grandissima professionalità e compostezza.

Cosa vorresti dire agli altri vignaioli? Un consiglio su come migliorare che noti spesso nei colleghi?

Un consiglio, una lezione che ho imparato recentemente: siate gentili e abbiate coraggio. Abbiate la voglia di osare e fare. Un’altra cosa importante è condividere, e torno al mio discorso iniziale, insieme si può fare la differenza.

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Camilla Rocca

Una passione per il mondo del vino che parte dalle origini, si è allargata all’enoturismo e ai racconti delle persone, di quei volti, quelle mani, delle storie che sono dietro alla vigna

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