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Barolo e Barbaresco: dal cambiamento climatico regole per un nuovo disciplinare

Tempo di lettura: 4 minuti

Le proposte di modifica del Consorzio di tutela delle due eccellenze delle Langhe vogliono superare il tabù del “versante nord”, ma non tutti sono d’accordo

di Maria Vittoria Sparano

Estati torride, primavere inesistenti, autunni siccitosi e inverni senza neve, il cambiamento climatico è qui ed è innegabile; è anzi visibile, tangibile, abbastanza prevedibile nelle sue future trasformazioni, innegabilmente incisivo e decisivo sulla vita degli esseri viventi, piante comprese. Lo sanno molto bene gli allevatori, gli agricoltori, tutti coloro che per lavoro o per passione vivono a stretto contatto con la natura e i suoi cicli: negli ultimi decenni – occorre ricordarlo, il clima non cambia nell’arco di un paio di settimane, ma ciò a cui assistiamo oggi è la conseguenza di scelte fatte nel passato – si è manifestata chiaramente sul nostro Paese una “virata” verso un caldo anomalo, superiore alla media, con ricadute a volte drammatiche sul benessere degli animali e sull’equilibrio dei cicli vegetativi: se in Sicilia si avviano con ottimi risultati coltivazioni di avocado, mango e banane, nel sud della Norvegia, da circa una decina d’anni, s’impiantato vigneti e si produce vino.

Non è fantascienza, è semplicemente ciò che sta accadendo e che colpisce anche quelle che oggi sono considerate nel mondo eccellenze produttive italiane in campo vitivinicolo, come Barolo e Barbaresco, al punto da rendere necessarie e urgenti riflessioni e scelte adeguate a determinare, per quanto possibile, il futuro di uno dei vini italiani più venduti all’estero e più iconici del Made in Italy.

Sono state appunto da un lato esigenze commerciali, legate a nuovi scenari mondiali, a nuovi consumatori, e dall’altro mutate condizioni climatiche, che si riflettono sul prodotto finale, a spingere lo scorso gennaio il Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, sotto l’allora presidente Matteo Ascheri, oggi sostituito dalla recente elezione di Sergio Germano, a guida del Consorzio per i prossimi tre anni, a presentare ai produttori una proposta di modifica che affronta diverse questioni, non tutte accolte con lo stesso entusiasmo e piena convinzione.

Ha incontrato il placet dei produttori la proposta di impedire l’imbottigliamento fuori dai confini del disciplinare: pare ci siano stati addirittura casi di imbottigliamento di Barolo negli Stati Uniti. Ne consegue che per tutelare la qualità e l’identità territoriale di Barolo e Barbaresco oggi bisogna intervenire modificando quanto non era stato considerato negli anni ’60: all’epoca era impensabile spostarsi troppo lontano per imbottigliare, oggi, invece, si possono raggiungere luoghi molto lontani in pochissimo tempo. Ma questo fa parte del “progresso”, mettiamola così. Sta di fatto che la proposta di limitare l’imbottigliamento ai territori di produzione oggi è realtà.

Non ha invece avuto pareri favorevoli, almeno non nella misura in cui sarebbe servito per essere attuata, una proposta percepita come più problematica, che punta dritta all’uva, o meglio, all’esposizione dei vigneti che fino ad ora è stata esclusa dalle regole del disciplinare per la produzione di Nebbiolo atto a Barolo o Barbaresco, il cosiddetto versante nord.

Piccola digressione per capire meglio: le Langhe hanno vissuto nell’ultimo quarto del secolo scorso, a partire dalla rivoluzione dei Barolo boys, e questo bisogna riconoscerlo, non solo un fenomeno di sprovincializzazione di un vino che fino ad allora in pochi conoscevano e bevevano fuori dal Piemonte, ma un vero e proprio boom dell’export in Europa e soprattutto Oltreoceano, che ha generato una sempre maggiore domanda cui si è risposto con un sempre maggior investimento su nuovi impianti, al punto che il paesaggio delle Langhe è stato completamente ridisegnato da filari di vite praticamente ovunque, con una predominanza del Nebbiolo a discapito di altre uve come per esempio il Dolcetto. Ma questa è un’altra storia. Per quello che ci interessa in questo caso specifico, il disciplinare di produzione del Barolo, approvato per la prima volta nel ’66 e modificato successivamente diverse volte fino al 2015, prevede tra le norme per la viticoltura, e quindi per la produzione di uve Nebbiolo che posso essere usate per realizzare vino Barolo, uno specifico divieto all’uso di uve provenienti dai versanti esposti a nord, perché il nord è il versante più freddo, meno irraggiato e quindi non idoneo a una corretta e completa maturazione dell’uva, indice di qualità.

Oggi, però, come si diceva all’inizio, il clima è cambiato, e se in passato tutti cercavano il caldo sole dell’esposizione sud per avere grappoli maturi e succosi, molti produttori negli ultimi anni hanno iniziato a investire, anche con nuovi impianti – un caso fra tutti Franz Haas, che già negli anni ’90 cercava altitudine ed esposizioni più fresche –, in zone meno soleggiate, dove la pianta è a riparo da stress idrico, appassimenti non voluti, eccessivo calore. E purtroppo anche sulle dolci colline di Langa il sole batte sempre più forte, e bisogna in qualche modo correre ai ripari, sì, ma come? Cosa comporta questa “apertura a nord”?

Alcune esposizioni nord sono già vitate, e quelle uve oggi finiscono nelle bottiglie di Langhe Nebbiolo, ma altre sono ancora “vergini”. La preoccupazione maggiore risiede proprio nella paura e nel pericolo che per favorire una migliore vita alla vite, si vadano a intaccare le ormai limitate zone boscose ancora presenti sul territorio, cosa che creerebbe solo un danno ulteriore in termini di biodiversità e microclima. Inoltre, produrre più vino significherebbe andare incontro a una svalutazione, e in un periodo in cui il rosso già “soffre” un chiaro calo dei consumi, immettere più bottiglie sul mercato sarebbe una scelta economicamente non felice, se non addirittura sfavorevole.

La soluzione a problemi complessi non è mai semplice, ma il tavolo di discussione è ormai aperto e anche se l’iter non sarà brevissimo, ad un certo punto bisognerà scegliere forse nuove strade anche su questo tema. Il nuovo presidente del Consorzio, Sergio Germano, suggerisce cautela e in un’intervista a La Stampa dichiara a proposito del versante nord: “credo che l’argomento debba essere maggiormente studiato… ma è bene che si sia iniziato a parlarne, perché comunque il tema del cambiamento climatico è sul tavolo e non può essere ignorato”.

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Maria Vittoria Sparano

Laureata in Lettere Classiche, sommelier professionista con esperienza in importanti sale stellate e docente per corsi di avvicinamento al mondo enoico. Ha collaborato con i più importanti e-commerce italiani di vino ed è sempre alla ricerca di piccoli produttori di grandi bottiglie.

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