Lo chef stellato Gennaro Esposito ha invitato a Vico il professor Matteo Lorito: in una mirabile lectio magistralis, si è spaziato dal cibo degli uomini agli allevamenti, per finire alle tematiche dell’ambiente e della terra
di Paolo Caruso
La puntuale e condivisibile riflessione offerta dal Magnifico Rettore dell’Università Federico II, professor Matteo Lorito, ci spinge a meditare sul modello agricolo attuale e su quello auspicabile. L’occasione è stata quella di una lectio magistralis tenutasi in occasione della “Festa a Vico” a Vico Equense, un evento ideato da Gennaro Esposito, chef stellato del ristorante “La Torre del Saracino” che riunisce molti suoi colleghi provenienti da tutta Italia, ci spinge a meditare sul modello agricolo attuale e su quello auspicabile.
Partendo dalla sperimentazione dell’attività agricola da parte dell’uomo, tenutasi nella zona della “Mezza Luna Fertile” in Mesopotamia dove vennero coltivati i primi cereali, prodromo della modifica dello status sociale umano che da nomade passò a stanziale, Matteo Lorito ha fatto un excursus che lo ha condotto fino alla prima Rivoluzione industriale, un arco di tempo che ha visto modificare colture e tecniche agricole con un denominatore comune, ovvero la consapevolezza che questa attività rappresentava sempre il fondamento per il benessere e il progresso dei popoli.
Progresso anche (se non soprattutto…) culturale: prova ne sia che durante il regno di Federico II di Svevia vennero poste le fondamenta per la nascita della cucina italiana e con essa della nuova visione del cibo, che cominciava a rappresentare un momento di condivisione e di piacere.
L’evoluzione dell’agricoltura, se così possiamo definirla, ha accelerato durante l’ultimo secolo. La necessità di sfamare un numero sempre più elevato di esseri umani e il concomitante, sempre più massiccio utilizzo di concimi e fitofarmaci di derivazione chimica (oltre alla scoperta di varietà sempre più produttive, ma sempre più esigenti in termini di input energetici), ha consentito da un lato un più semplice accesso al cibo (per alcuni), dall’altro ha aperto scenari inediti e preoccupanti sia dal punto di vista sociale che ambientale.
Il Magnifico Rettore Lorito ha affermato che da qui al 2050 si prospetta un incremento del fabbisogno di cibo compreso in un range tra il 59% e il 98%, in linea con l’aumento della popolazione del pianeta che supererà i 9 miliardi di persone.
Se da un lato ci sarà una parte di questa popolazione che sarà sempre più interessata all’acquisto di cibo più vario e soprattutto più proteico, dall’altra ci saranno sempre più persone con difficoltà a procurarsi quanto necessario al proprio sostentamento alimentare.
La spaventosa contraddizione messa in risalto dall’accademico riguarda la differenza tra le persone attualmente in sovrappeso (1.5 miliardi) e le persone scarsamente alimentate (1 miliardo), con il paradosso che l’80% di queste ultime sono quelle che lavorano per assicurare il cibo alla restante parte.

Tutti questi dati oggettivi spingono a una riflessione urgente e ponderata.
Secondo il Prof. Lorito “al mondo serve una nuova ‘agricultura’ per una nuova agricoltura, che abbia un approccio ‘one health’ dove tutto si tiene insieme, dal benessere dell’uomo a quello degli animali e dell’ambiente”. Il modello attuale caratterizzato da “allevamenti intensivi, perdita di biodiversità, dipendenza da combustibili fossili, degrado del suolo e dalla nascita di pochi grandi agglomerati di aziende, tanto che 10 Cda controllano un business da 5.000 miliardi di dollari, che ovviamente influenzano molto le filiere”, necessita di un ripensamento.
Una rimodulazione che, specie nel nostro Paese, deve partire dalla ricerca della qualità del cibo, l’unico vero valore aggiunto delle produzioni italiche che ha migliorato in modo netto e significativo la bilancia commerciale dell’agroalimentare nostrano.
Senza dimenticare il necessario fabbisogno di ricerca finalizzato alla sostenibilità ambientale (risparmio idrico, minor impatto ambientale dell’agricoltura, recupero degli scarti, etc.) e al miglioramento delle qualità degli alimenti.
A queste indicazioni del Prof. Lorito ci sentiamo di aggiungere quanto recentemente dichiarato da Carlo Petrini, fondatore di Slowfood e icona del buon cibo e della biodiversità. Petrini ha fatto riferimento all’urgenza di coinvolgere le nuove generazioni in percorsi formativi scolastici mirati alla sostenibilità con particolare riferimento alla riduzione dello spreco alimentare.
Perché ai dati forniti dal Prof. Lorito ci permettiamo di sommarne un altro: secondo la FAO nel mondo il 14% del cibo viene perso prima della commercializzazione mentre il 17%, pari a 931 milioni di tonnellate, viene sprecato dai consumatori e/o retail. Un ammontare che basterebbe a compensare il fabbisogno di alimenti necessario a tutta la popolazione umana. Uno sperpero che non ci possiamo più permettere e che possiamo ridurre con lo sforzo e la consapevolezza di tutti gli attori della filiera.
Un’azione deve essere parallela alla concezione cui verrà ancorata la nuova “agricultura”, che – come affermato dal Prof. Lorito – “disegnerà il futuro della vita dell’uomo. Come ha sempre fatto, da migliaia e migliaia di anni”.

Paolo Caruso
Creatore del progetto di comunicazione "Foodiverso" (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il "Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente" dell'Università di Catania e consulente di numerose aziende agroalimentari. È considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità