Campo di grano, gli agricoltori protestano

Che ne sai tu di un campo di grano?

Tempo di lettura: 2 minuti

di Paolo Caruso

Le recenti proteste degli agricoltori, tra le molte manifestazioni e le sacrosante rivendicazioni, segnalano anche un grande limite: aver formato celermente una nuova classe di agronomi improvvisati che si aggiunge a quella dei virologi coniati con l’avvento del Covid.

Sentir parlare a canali unificati di agricoltura da persone che probabilmente hanno contatti diretti con il mondo agreste soltanto in occasione della Pasquetta, riesce nel difficile intento di provocare simultaneamente ilarità e sconcerto.

Giornalisti, politici, opinionisti ed affini discettano di “green deal”, diserbanti, maggese, glifosato, come se fossero affiliati da decenni alla Società Italiana di Agronomia e avessero all’attivo decine di pubblicazioni scientifiche su questi argomenti. Peccato che la qualità dei loro interventi denota ovviamente una carenza di nozioni che fa scadere spesso i dibattiti a livelli da avanspettacolo. E pensare che l’agricoltura è, per definizione, il “settore primario”, quello da cui dipendono tutti gli altri, senza il quale sarebbe impossibile assicurare il nostro sostentamento.

Il pietoso livello di conoscenza dei tanti soloni chiamati ad argomentare di agricoltura, ha il triste merito, di sottolineare il grado di considerazione che questo settore ha avuto da mezzo secolo a questa parte. Negli ultimi 50 anni parlare di agricoltura è stato considerato alla stregua di un tabù; a nessuno interessava veramente quali fossero i processi che portano alla produzione del cibo che arriva sulle nostre tavole e men che meno alle problematiche dei soggetti coinvolti in questo settore.

I contadini e/o agricoltori sono stati considerati alla stregua di ologrammi, la cui presenza era talmente marginale da restare in uno stato di perenne indeterminatezza. E pensare che queste persone hanno dato vita alla prima forma di civiltà, quella contadina, da cui si sono generate tutte le altre, ma il processo pluridecennale di abbandono dell’agricoltura ha responsabilità precise.

Scelte politiche sconsiderate hanno privilegiato, in modo quasi esclusivo, la produzione industriale alla filiera agricola, cedendo a sciagurati accordi commerciali che prediligevano la vendita dei manufatti alla salvaguardia dei prodotti locali. In tutto questo la presenza dell’UE ed il relativo rimpallo di responsabilità ha completato il disastro. Il risultato finale di queste politiche nel nostro Paese è sotto gli occhi di tutti: contrazione delle superfici coltivate, crollo del numero delle aziende agricole ancora operative e dipendenza dai paesi esteri per l’approvvigionamento di moltissimi prodotti agricoli.

La situazione è sfuggita di mano, per riprenderla occorrerebbe una inversione a U immediata e tanta pazienza. I risultati auspicati potrebbero arrivare solo dopo molto tempo. Esiste questa volontà? Rimaniamo scettici, ma non senza speranza. Come mi ha insegnato il mio amico Corrado Assenza, non si potrà mai assistere ad una ripresa del comparto agricolo senza il riconoscimento sociale della figura dell’agricoltore. Altro che agronomi da studi televisivi…

Paolo Caruso | Creatore del progetto di comunicazione “Foodiverso” (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il “Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente” dell’Università di Catania. Consulente di numerose aziende agroalimentari, è considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità   

Facebook
Twitter
LinkedIn
TS Poll - Loading poll ...