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San Domenico Cioria-Mascia

La coppia perfetta Cioria-Mascia: “Pairing col futuro e altri segreti, in cucina e in cantina comanda il cliente…”

Tempo di lettura: 5 minuti

di Alessandra Meldolesi 

Chef e sommelier dello storico ristorante “San Domenico” aprono il libro della loro vita in simbiosi, dall’incontro al percorso come un’unica squadra: “Camminiamo in mezzo alla strada, tra la gente: abbinamenti e scelte li lasciamo ai gusti di chi viene a trovarci, sono loro a guidare la perfezione”

Imola? Per i romagnoli è la città dei matti. Fece scalpore qualche anno fa un servizio fotografico che ritraeva la brigata del ristorante San Domenico con la camicia di forza, quale provocazione scherzosa. Perché è vero: bisognava essere folli in quegli anni di intrugli chimici ed esercizi necrofili per continuare ad amare il classico: il foie gras perfetto, il Rossini da manuale, l’uovo in raviolo di Bergese emblematico come la sfera di Piero della Francesca.

Negli anni sono stati molti i ristoranti classici che – soprattutto in Francia – sono andati incontro al declino: non il San Domenico, sempre se stesso ma sempre al passo. Un ristorante che cammina nel mezzo della strada, secondo una metafora antica.

Lo si deve anche al fortunato rinnovamento generazionale che, 15 anni fa, ha spedito in prima linea lo chef Massimiliano Mascia, passato da Romano e Ducasse, oltre al sommelier Francesco Cioria, irpino con trascorsi in Inghilterra e in Australia, avvinti in una solida complicità. Mentre il primo lascia che la cucina si evolva senza fretta, decelerando i ritmi contemporanei, il secondo (forte di una cantina da sogno fra le migliori d’Italia) apre brecce di follia nel pasto, con pairing tanto azzeccati quanto eretici. Senza stravolgere una cucina fuori dal tempo, che pur si muove, riuscendo così a coinvolgere un diverso pubblico di gourmet, giovani e curiosi, rinnovando ogni volta l’esperienza.

Ritratto Cioria-Mascia
Francesco Cioria e Massimiliano Mascia

Cioria: “Quando sono arrivato nel 2008-2009, ero davvero un ragazzino. Ho fatto uno stage con il sommelier di allora, Matteo Calamini, poi sono partito e tornato in pianta stabile nel 2014. All’inizio a fare gli ordini e a sovrintendere l’attività era Gianluigi Morini, che vantava rapporti speciali con i produttori. Un romantico, del tutto disinteressato al denaro”.

Mascia: “In parallelo stava cambiando anche il mio ruolo, perché se è vero che sono rientrato nel 2009 per affiancare mio zio Valentino Marcattilii, sono diventato chef solo nel 2012, in modo abbastanza graduale. Quando Francesco è tornato dall’Australia eravamo al completo. Pochi mesi dopo, tuttavia, Matteo da un momento all’altro ha dato le dimissioni, Francesco è capitato a cena, abbiamo scambiato due chiacchiere e abbiamo subito trovato l’accordo”.

C.: “Ci accomunava un atteggiamento diverso rispetto alla norma. In questa professione ognuno ha la sua idea, c’è chi è più rigido e chi è più aperto. Io e Massimiliano – sulla base di una classicità e di una storia personale – abbiamo sempre cercato di portare un po’ di freschezza. Può essere questa la chiave per cui le cose stanno andando bene”.

M.: “Entrambi ci siamo subito confrontati con una storia ingombrante, penso ai signature di Nino Bergese, ma anche alla nostra sterminata cantina. A partire da quegli anni, tuttavia, la crescita è stata costante. Poi Francesco è molto bravo a vendere: capisce il cliente, sa dove può arrivare. La conoscenza del vino la do per scontata, ma con lui scatta l’empatia. Quasi ventimila bottiglie in cantina devono girare, se no è un problema…”.

C: “Quando sono arrivato sono andato subito a vedere le vecchie carte e gli ordini. Morini si era affidato ai consigli di Veronelli, era appassionato di Francia e di Italia. Aveva una parte di cantina intoccabile, vini che voleva tenere per sé. Nel 2016 abbiamo inventariato tutto con un gestionale, perché a mano era diventato impossibile. E siamo stati fra i primi a farlo. Abbiamo passato in cantina tre o quattro mesi in full immersion, dalla mattina alla notte. Mi ha aiutato a tirar fuori tutte le bottiglie e ottenere un quadro complessivo. Alla fine abbiamo anche predisposto una carta delle vecchie annate col benestare del signor Morini, contenente i vari Taurasi, Barolo e Bordeaux a partire dagli anni ’40, Marsala anche degli anni ’10 e ’20. Più tutta la parte dei distillati, che per noi è molto importante. Quando gliel’ho presentata, era talmente contento che mi ha regalato un cavatappi placcato d’oro. In parallelo, negli anni abbiamo reso la carta un po’ più contemporanea, con bottiglie meno impegnative. 

Cercando di centrare l’equilibrio fra ciò che piace a noi e ciò che piace al cliente, nel senso che dobbiamo avere il Cervaro della Sala come Gravner. Dopo tanti anni conosco bene la cucina di Massimiliano e quando mi presenta un piatto mi si illumina qualcosa, riesco subito a collegarlo a un vino, istintivamente. Ma secondo me non esistono vini inadatti, non credo neppure nei tabù. Si tratta di capire il cliente, per questo il nostro è un pairing sartoriale”.

M.:“Ci capita spesso di bere insieme, se ci sono cose nuove da assaggiare oppure post servizio, nel giorno libero, durante le visite in cantina… Per lavoro e per piacere. Io sono sempre stato per Barolo, Pinot Nero e Champagne; lui mi ha iniziato a cose nuove, il Taurasi e altre chicche del sud, che adesso apprezzo. La mia è una cucina abbastanza semplice, di prodotto, con pochi ingredienti nel piatto. A mio giudizio i vini troppo complessi non si prestano, ma se il cliente li ama, deve avere la possibilità di ordinarli. Gli abbinamenti li decide Francesco e fondamentalmente devono piacere al cliente. Ci confrontiamo nel dettaglio solo quando facciamo serate con i produttori o verticali”.

C.:“Secondo me non esiste l’abbinamento perfetto in assoluto: esiste l’abbinamento perfetto sul cliente. Quindi è fondamentale capirlo e conoscerlo. Noi abbiamo tanti habitué ai quali cerco di far provare cose nuove, se lo desiderano, senza imposizioni. L’uovo in raviolo per esempio era sempre stato abbinato a rossi giovani o all’Albana di queste zone, ma è la tipologia del tartufo a fare la differenza. Se a novembre va a nozze con un Montrachet o un Barolo vecchio, che abbia perso tannicità, quando è stagione di marzolino si può aprire un Breg, per la classica ossidazione sull’uovo e per il fascino del contrasto culturale. Oppure l’ostrica con il Moscato d’Asti, che alla gente piace tantissimo; la capasanta con salsa al Vermouth e vino ossidativo del Jura. L’ossidazione giusta nell’abbinamento dà e toglie, come il sale o il fumé arricchisce e nel contempo mitiga i difetti. In questi abbinamenti sono molto istintivo, poi assaggio e comunque mi confronto col cliente”.

Sandomenico Piatto Foie gras

M.:“Il ristorante è un posto dove la gente va per stare bene, non scordiamolo mai. L’importante è che il cliente sia soddisfatto e voglia ritornare. Nonostante i costi di magazzino, che in Italia sono folli quando si investe sul vino, non abbiamo mai avuto bisogno di alienare pezzi di cantina, a parte qualcosa negli anni ‘90 quando abbiamo rimpicciolito gli spazi”

C.:“Ogni anno sono 6000 bottiglie che girano, entrano ed escono, vini semplici da banchettistica e grandi bottiglie. Ci siamo appena ‘rovinati’ con i soliti ordini di Barolo, è arrivata anche una bottiglia singola di Romanée-Conti, quando una volta tornavamo dalle cantine con la macchina piena. Ma ora la grande ristorazione è un fenomeno planetario ed è esploso il mercato asiatico. Noi però ci siamo sempre: sono 54 anni che compriamo vino e ora ne vendiamo anche di più”.

Scopri l'abbinamento

Lo chef Massimiliano Mascia propone il suo Foie gras con chutney di arancia e cannella che il sommelier Francesco Cioria abbina con vini tradizionali, liquorosi e... persino cocktail
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