Verità e leggenda: la storia di Leonia Frescobaldi e Bettino Ricasoli, “spiriti” guida del vino toscano
di Mattia Marzola
31 ottobre, notte di magia, di streghe e, soprattutto, di fantasmi. E se un grande scrittore come Michele Mari – leggendario docente di letteratura milanese – nella sua personale “ricetta per fare un fantasma” indicava come ingrediente essenziale che esso fosse legato a un luogo ben circoscritto e significativo, quale luogo in Italia potrebbe essere più simbolico di una cantina vinicola?
È tra botti, profumi di mosto e silenzi di pietra che, da sempre, si celano storie e presenze sospese tra il reale e l’immaginario. Oggi scopriremo la storia – tra verità e leggenda – di due grandi protagonisti del vino italiano, così grandi che, per alcuni, pare ancora si aggirino nelle loro rispettive tenute: spiriti guida che vegliano sulla maturazione dell’uva e sulla prosperità delle loro famiglie.
Leonia Frescobaldi: la prima grande donna del vino
Leonia degli Albizzi, non nacque Frescobaldi, eppure pochi come lei contribuirono alla fama dei marchesi, incarnò, infatti, un modello d’eccellenza e innovazione in una Toscana in trasformazione: donna di famiglia, imprenditrice ante litteram, fu la marchesa che portò a nuova vita le vigne, intuendo che tra alture, boschi e vigneti di Pomino e Nipozzano si celava il futuro del vino italiano. Attraverso un matrimonio strategico e una visione oltre il tempo, Leonia introdusse in Toscana vitigni francesi come lo Chardonnay e il Pinot Nero, contribuendo a trasformare la tenuta dei Frescobaldi in un laboratorio di viticoltura d’altura.
Eppure la sua influenza non restò confinata alla terra e al tino: la leggenda vuole che, dopo il crepuscolo, i suoi passi risuonino ancora sui tetti della tenuta di Nipozzano, come un sussurro che invita a guardare non solo la vite, ma la storia che la sostiene. Tra boschi avvolti nella nebbia e botti silenziose, si racconta che la marchesa vegli sul raccolto e sui vignaioli, un’apparizione discreta e benevola le cui ombre offrono protezione anziché timore. Le sue apparizioni — per alcuni reali, per altri simboliche — suggellano un patto non scritto: coltivare il vino significa rispettare radici, terra e tempo.
Bettino Ricasoli: il barone che diede un’anima al Chianti
Fra le colline del Chianti, dove il vento profuma di terra e mosto, la storia del vino italiano porta inciso un nome che sa di visione: Bettino Ricasoli, il “Barone di Ferro”. Uomo politico, patriota e secondo Presidente del Consiglio del neonato Regno d’Italia, fu al tempo stesso un instancabile agronomo e innovatore. Nel suo Castello di Brolio, tra le colline di Gaiole in Chianti, diede forma nel 1872 alla prima vera “ricetta” del Chianti Classico, studiando proporzioni, uvaggi e metodi di vinificazione destinati a rendere quel vino il simbolo della Toscana nel mondo.
Ma la leggenda, più viva che mai, aggiunge al politico e al viticoltore una terza dimensione: quella del fantasma che non abbandona la sua terra. Si dice che, nelle notti di luna piena, il barone appaia a cavallo del suo destriero bianco, percorrendo il viale che conduce al castello, con il mantello che sventola come un’eco di gloria passata. Chi lo ha visto — o crede di averlo visto — giura che la sua presenza porti fortuna: dopo le apparizioni, raccontano, i raccolti sono più generosi e i vini più armoniosi.
È un fantasma fiero, il suo: non di rimpianto ma di custodia. Come se l’uomo che un tempo rese il vino ambasciatore dell’Italia unita non avesse mai smesso di vigilare sul suo destino. Tra storia e leggenda, il Barone Ricasoli resta dunque l’anima del Chianti: un’ombra luminosa che continua a ispirare chi, ancora oggi, in quelle colline, lavora il vino con la stessa ostinata passione.
Mattia Marzola
Giocoliere di parole, voracissimo lettore, buona forchetta (e buon bicchiere) ha deciso di unire le sue inclinazioni, diventando così appassionato docente di lettere ed entusiasta giornalista enogastronomico, anche se poi scrive di tutto.