Con la sommelier de La Terraza di Madrid abbiamo parlato di identità, servizio e nuove generazioni: “Siamo guide, non giudici. Il nostro compito è far sentire il cliente a suo agio”
di Nello Gatti
Durante il recente Seminario sulla viticoltura nel Mediterraneo, svoltosi ad Alicante, abbiamo incontrato María José Huertas, una delle figure più autorevoli tra i sommelier spagnoli. Nella masterclass “Jóvenes con historia”, condotta insieme a Beth Willard, ha tracciato un viaggio tra territori emergenti, dalla Georgia alla Slovenia, passando per la Croazia e la stessa Spagna, per raccontare come nuove generazioni e antiche radici possano convivere nel calice.
Sommelier del ristorante “La Terraza” del Casino di Madrid (due stelle Michelin), formatasi alla scuola di Paco Roncero e vincitrice del Premio Nacional de Gastronomía al Mejor Sumiller de España, Huertas è una presenza fissa nelle più importanti guide e nei panel di degustazione internazionali. La sua eleganza e sobrietà sono proverbiali: una professionista che incarna un modello di sommellerie moderna, empatica e profondamente radicata nella cultura mediterranea, destinata a tracciare un solco profondo nel rinnovamento della figura della sommellerie internazionale: meno rigida, più umana, profondamente legata al territorio ma con lo sguardo aperto al mondo. Con il suo equilibrio tra rigore e sensibilità, continua a dimostrare che il vino, come lei stessa dice: “è un modo di vivere, non solo un mestiere.”
Approfittando della sua disponibilità, abbiamo voluto approfondire con lei il ruolo del sommelier oggi, le nuove tendenze di consumo e le sfide della ristorazione contemporanea.
Il sommelier è più un consigliere, una guida o uno psicologo?
Il sommelier non è uno psicologo, anche se deve intuire numerosi fattori e comprendere il cliente in ogni sua fase. Il nostro compito è essere consiglieri, guide: capire cosa vuole spendere il cliente, che tipo di esperienza desidera, come poterlo accompagnare in armonia con i piatti e con il momento. La priorità è indovinare i gusti e farlo alla giusta spesa. Non è una questione di educare o giudicare, ma di far sentire a proprio agio chi siede a tavola.
Il pubblico straniero è molto presente nel tuo lavoro quotidiano. Che impatto ha questo sulla tua visione del vino spagnolo?
Nel locale dove lavoro, circa l’80-90% della clientela è internazionale. Questo ci dà l’opportunità di raccontare la Spagna attraverso le sue etichette. Gli stranieri sono spesso più curiosi, più disposti a lasciarsi guidare. Ogni bottiglia è un viaggio dentro il nostro territorio e per me, ogni servizio è un’occasione per far scoprire un pezzo di Spagna.
Si parla molto dei giovani e del loro allontanamento dal vino. Credi sia un problema reale o un falso mito?
In realtà, non si sono mai avvicinati davvero. Qui in Spagna, la maggior parte dei locali per giovani è incentrata su birre e cocktail. Solo la ristorazione resta fedele al vino, ma parla ancora a un pubblico specifico. Credo che serva un primo approccio più leggero, più spontaneo: i giovani vogliono divertirsi, e va bene così. L’importante è seminare curiosità, non imporre cultura.
A livello produttivo, stiamo assistendo a un ritorno alla freschezza, meno alcol e meno legno. È una tendenza o un cambio strutturale?
Direi che è un’evoluzione naturale. Anche in Spagna l’uso della barrique si sta riducendo, e i vini bianchi stanno crescendo molto, anche grazie a un consumo più consapevole. Il gusto si sposta verso l’equilibrio, la bevibilità, e la valorizzazione dei vitigni autoctoni. È una direzione che fa bene al vino e al consumatore.
Come costruisci la carta dei vini del tuo ristorante?
La mia carta è divisa tra Vecchio e Nuovo Mondo. Nel primo caso lavoro per aree e climi, nel secondo per paesi. Mi piace creare sottocategorie che aiutino a leggere il vino non solo per provenienza, ma per stile. Il mio obiettivo è dare una visione completa: dal piccolo produttore locale alla grande denominazione internazionale. E poi ci sono i territori che voglio esplorare di più. Ultimamente mi affascinano molto i Balcani e l’Europa dell’Est, dove si sente un’energia nuova.
Il mestiere di sala vive una crisi strutturale in molti paesi. Che situazione si vive in Spagna?
Il turnover nella ristorazione è preoccupante. Manca ancora un percorso formativo adeguato e un vero affiancamento. Tuttavia, la situazione è migliorata rispetto al passato: prima avevamo orari impossibili e retribuzioni davvero basse. Serve maggiore comprensione reciproca tra chi gestisce e chi lavora. La sala è il volto del ristorante: se non valorizzi chi la rappresenta, il progetto perde identità.
Cosa ti dà questo lavoro, al di là del successo professionale?
Il vino mi permette di viaggiare, conoscere, studiare, aggiornarmi. È una forma di vita, non solo un mestiere. Potrebbe sembrare un sacrificio, ma è una passione che ripaga sempre. Mi ha insegnato l’ascolto, la pazienza, la curiosità. Il vino è cultura, relazione, e in fondo un modo per diventare persone migliori.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
Sono felice dei traguardi raggiunti: dal lavoro quotidiano al ristorante, alle collaborazioni con La Vanguardia, fino agli eventi e alle degustazioni internazionali. Ogni giorno è un’occasione per imparare. Il futuro? Continuare a crescere, a condividere, e a raccontare il vino come linguaggio universale.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.