Valentino e Sokol, chef e sommelier del Lux Lucis di Forte dei Marmi, raccontano: “La nostra carta democratica, gli abbinamenti emozionali e il ruolo centrale dell’ospite”
di Alessandra Meldolesi
Fra le coppie professionali più affiatate della ristorazione emergente c’è sicuramente quella formata dallo chef Valentino Cassanelli e dal sommelier Sokol Ndreko al Lux Lucis di Forte dei Marmi, locale che negli anni ha sempre meglio centrato la sua cifra stilistica, all’insegna dell’eleganza. Cassanelli, passato da Locatelli, Nobu e Cracco, ha saputo distillare come nessuno il gusto salmastro, dato dall’incontro fra mare e montagna, che è diventato il filo conduttore della sua cucina in Versilia. Ha trovato una sponda perfetta nella classe e nell’originalità di Ndreko, perfetto uomo di sala, premiato quale migliore maître Espresso nel 2017, oggi ottimamente affiancato da Piero Ghiri. Tanto che sembra quasi impossibile immaginare i piatti senza il loro bicchiere.

Cassanelli: Sono dodici anni che lavoriamo insieme. Il Lux Lucis è stato fondato da noi, due anni dopo l’hotel. Abbiamo aperto nel maggio 2012 ed è allora che ci siamo conosciuti. Io sono arrivato qualche giorno prima ed è stato quasi traumatico, perché era una realtà molto più grande di quelle cui ero abituato. Logisticamente era di gran lunga più complessa di un ristorante singolo. C’era già un restaurant manager, fortunatamente Sokol è venuto in soccorso per la parte enologica e subito sono nate l’intesa e la stima reciproche, ci siamo sintonizzati sullo stesso approccio alla ristorazione, dall’abbinamento all’accoglienza. Ho fatto quel che potevo affinché diventasse responsabile della parte ristorativa, perché avevo bisogno di una persona come lui, non di un professionista standard. Occorreva un feeling collaborativo.
Ndreko: Io arrivavo da una realtà diversa, anche per me la complessità di un hotel era una sfida. Ma abbiamo preso la palla al balzo e siamo andati avanti. Subito è scattata l’intesa su quello che volevamo fare e sul modo di intendere l’accoglienza. Questo ha aiutato entrambi. La cantina è stata assemblata praticamente da zero, anche se all’inizio c’era una selezione firmata dal restaurant manager. Dopo un anno ho iniziato a riconcepire la carta, che continua a evolversi e oggi conta 900 referenze. Quando studiavo sommellerie, ci raccontavano i diversi modi per costruirla, fra cui lo sviluppo per vitigno anziché per zone, come accade di solito. Lo abbiamo fatto nostro come una sfida, perché è la cosa più difficile, come chiave di lettura per l’ospite e anche per noi. Occorre un grande lavoro per accompagnare la scelta, poiché la mancanza di riferimenti territoriali può confondere chi si dirige sui grandi nomi, che possono perdersi come un ago in un pagliaio. E devo dire che questa sfida è stata vinta.
Cassanelli: In questo modo l’ospite tende ad affidarsi al professionista, ed è comunque un’opzione più democratica, perché non si seleziona più la grande zona, ma la si mette alla pari con quelle dove si coltiva lo stesso vitigno.
Ndreko: Inizialmente la carta si è fondata sui piccoli produttori, con una grande attenzione verso l’evoluzione e il focus su ciò che realmente il vino può dare, oltre il nome, per poterlo presentare nel momento migliore, in abbinamento e non.
Cassanelli: Ed è un approccio che sento affine perché crea uno spazio mentale per la creatività. È come per me lavorare sui piatti. Quando Sokol studia il pairing, all’inizio non assaggia. In un incontro gli spiego la filosofia e le sensazioni, il menu viene smontato e analizzato in base a ciò che percepirà l’ospite. E qui entra in campo lui, che compie la sua analisi creativa sul pairing migliore. L’abbinamento legato al gusto può essere molto tecnico, ma l’aspetto emozionale a volte risulta forzato. Se invece il concetto arriva direttamente all’ospite, è molto più esplosivo.
Ndreko: Dopo questo primo appuntamento concettuale, passa un po’ di tempo. Elaboro i concetti e le informazioni, facendo maturare le cose senza fretta. Né io assaggio i piatti, né Valentino i vini.
Cassanelli: Attualmente il menu principale è “Orizzonti on the road”, massima espressione del Lux Lucis, che influenza anche le altre proposte. L’idea sono gli orizzonti tutt’intorno, materie prime che abbiamo qua sotto e si trasformano in queste linee di fuga, inquadrate attraverso le esperienze mie e della brigata, incontri, culture, ingredienti diversi che vogliamo portare nella mediterraneità, senza mai scordare il territorio. Una libera espressione di cucina italiana, che per me è fondamentale, come il rispetto delle materie prime. Quindi il concetto è la voglia di trasmettere all’ospite ciò che ci circonda, essere ambasciatori del Lux Lucis e della Versilia.
Ndreko: Il tema degli orizzonti mi ha aperto un mondo infinito, oltre ciò che ci circonda. Quindi ho concepito un abbinamento a 360 gradi, con vini di tutto il mondo, ma anche altre bevande quali birra, sakè e sidro di pere.
Cassanelli: Poi arrivano gli assaggi, che coinvolgono tutto il gruppo, per mettersi in discussione. A volte è dagli insospettabili che viene il feed-back corretto, che non avresti mai pensato. Chi ha meno retaggi può avere il lampo per aggiustare il tiro. Succede al passe oppure al tavolo, con simulazioni di gruppo anche sul pairing. Ma la parte iniziale è quella focalizzante.
Ndreko: Al 99% il lavoro concettuale funziona, poi ci può essere qualche aggiustamento in base agli assaggi condivisi. Per esempio può variare l’annata di un vino, e se quella giusta finisce, può essere necessario cambiare referenza, ma si tratta sempre di trasmettere l’emozione del piatto. Ogni portata ha il suo calice, facendo attenzione a non sovraccaricare di alcol. Poi c’è chi desidera un abbinamento tecnico e chi privilegia le circostanze.

Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.