Matteo Ascheri: “Siamo ancorati a modelli di comunicazione sorpassati, ma è necessario abbattere le barriere”
di Raffaello De Crescenzo
Assaporare un grande vino è un po’ come perdersi tra le note di una splendida canzone: emozione allo stato puro! La stessa emozione che si intreccia con la passione di chi, da sei generazioni, trasforma il frutto della vite in un nettare…. caldo e rosso. “Red Hot”, infatti, strizzando l’occhio alla mitica band statunitense Red Hot Chili Peppers, è proprio il titolo della degustazione che Matteo Ascheri ha deciso di organizzare per raccontarsi e raccontare alcuni suoi vini: il Verduno Pelaverga del 2024, il Montalupa Rosso del 2020 ed il Barolo del 2021.
“Vini che vogliono essere una sorta di “versione acustica”, maggiormente riconoscibile – racconta il produttore – La qualità è necessaria, ma non sufficiente ed è per questo che lavoriamo con l’obiettivo di realizzare prodotti riconoscibili, a partire dal vigneto di partenza, passando per il vitigno piantato in quel vigneto, perché tutto quello che si adopera in cantina (il legno, la tecnologia, gli additivi ed i consulenti esterni) può costituire qualcosa di potenzialmente omologante”.
Ciò che non deve essere omologabile, invece, è il risultato finale, speciale come il valore trainante dell’azienda: il rispetto, della natura e delle persone. Tutti coloro che lavorano con Matteo Ascheri, infatti, hanno contratti a lungo termine. Alcuni arrivano da tutte le parti del mondo, portando professionalità e dedizione, per produrre grande uva, raccolta rigorosamente a mano, con cui dar vita a grandi vini. Per questo è fondamentale creare un team coeso e realizzare un lavoro che sia frutto di un collettivo.
I vigneti principali, dislocati a La Morra (dove tutt’ora è presente la menzione geografica “Ascheri”), a Verduno, a Serralunga d’Alba e Bra, per un totale di 40 ettari, forniscono le uve che vengono lavorate nella storica cantina, sita proprio all’interno della città di Bra, vicino alla stazione. Negli anni, inoltre, è stata prima aperta l’Osteria Murivecchi, cui ha fatto seguito, nel 2005, l’avviamento di un albergo e, tre anni fa, anche di una elegante Spa. Una vera e propria isola del vino, simbolo di sviluppo e diversificazione, realizzata con l’obiettivo non di produrre di più, ma meglio. A Bra, dunque, nel cuore pulsante delle Langhe, Matteo Ascheri oggi custodisce una delle ultime cantine urbane del Piemonte: un microcosmo dove storia, comunità e terroir convivono in perfetto equilibrio.
Se contiamo dall’anno di fondazione (1880) fino al 2025, la cantina ha attraversato oltre 140 vendemmie: tante stagioni che hanno scavato nella memoria aziendale una sensibilità unica verso la materia prima.
Recente il restyling delle etichette che ha portato al rebranding di quest’anno, coerente con la scelta di essenzialità e nettezza che caratterizza tutti i vini. A partire dal “Pelaverga 2024”, figlio di un’annata non propriamente eccellente, che ha richiesto un tempo di evoluzione in bottiglia maggiore rispetto al solito perché “la bravura di chi fa vino è quella di fare un buon prodotto, equilibrato, anche nelle annate difficili”, spiega Matteo. Il pelaverga è un vitigno raro, un’enclave all’interno del Barolo, il cui nome significa “dalla pelle verde”; gli acini, infatti, si presentano con striature verdi, molto caratterizzanti ed una buccia sottile. Un vitigno che richiede una vinificazione leggera, per ottenere un vino che regala il meglio di sé nei primi 2/3 anni dalla vendemmia, sebbene possegga una spalla acida che ne permetterebbe anche una certa evoluzione.
Le 5.000/6.000 bottiglie annualmente prodotte, vengono solitamente imbottigliate a partire dal marzo successivo alla vendemmia e vendute, generalmente, entro la fine dell’autunno dello stesso anno.
Un vitigno raro, che porta ad una produzione totale di sole 200.000 bottiglie annue, ad opera dei 19 produttori totali che si dedicano a questa uva. L’annata ’24 di Ascheri ci regala un vino dal colore rosso tenue, con un naso di spezie e frutta (in particolare fragole), dalla beva semplice e piacevole, con tannicità limitata e 13 gradi alcolici. Un nettare da gustare anche fresco e col pesce, ma che, nell’occasione, ci viene suggerito in abbinamento all’ottimo formaggio Raschera d’alpeggio dop, da latte vaccino, affinato dal braidese “Giolito Formaggi”. Un vino che Matteo Ascheri ci ha raccontato di aver valutato, in passato, di smettere di produrre, poiché fortemente convinto di espiantare questo vitigno, se non fosse stato per la sorella che glielo ha impedito vista la costante richiesta di Pelaverga all’Osteria di famiglia. Una produzione limitatissima, ma di grande successo, per questo vino da tutto pasto che, in cantina, è possibile acquistare all’onestissimo prezzo di 14 euro, e che Matteo ci suggerisce di assaporare in abbinamento con la canzone “La leva calcistica del ’68” di De Gregori.









Il secondo vino di questo avvincente “percorso eno-musicale” è il “Montalupa Rosso” del 2020, da 14,5 % alcol. Sono circa 3.500/4.000 le bottiglie annue prodotte di questo Syrah in purezza, per il quale è stato scelto un nome atto a rimarcare l’origine piemontese del vino.
I vitigni si trovano nel comune di Bra, nella zona del Roero, su terreni sabbiosi e sono stati impiantati nel 1993, come vigneti inizialmente sperimentali, poiché tale varietà risultava non suggerita o consentita in quella zona. La prima annata prodotta risale al 1996 e la versione attualmente in commercio prevede un affinamento di circa due anni e mezzo in legno vecchio. “Il Syrah è un vitigno che necessità di grande evoluzione, il cui colore intenso non decade” spiega Matteo, mentre sorseggiamo questo nettare il cui colore e la struttura (difficili da ottenere sulla sabbia), incontrano grande finezza ed eleganza. Un vino destinato a cambiare poco nel tempo, rosso rubino intenso, con un naso speziato dai sentori di eucalipto, pasta di oliva ed incenso. Ampio e lungo in bocca, ci viene proposto in abbinamento con il “Due Pecore” della zona del Castelmagno, un formaggio da latte di pecora, ottenuto da due mungiture (una al mattino e l’altra la sera), mentre è “Changes” di David Bowie, il brano d’accompagnamento suggerito.
Il Syrah, impiegato per dar vita a questo nettare, ha avuto bisogno di dieci anni per acclimatarsi in questa zona del Piemonte, rallentando il suo vigore iniziale, mentre il viogner, utilizzato per il Montalupa Bianco (che ci ripromettiamo di assaggiare in una prossima occasione) si è adattato più rapidamente al terroir.
“Il syrah, introdotto come sperimentazione anche in un’ottica di possibili assemblaggi, ha trovato da noi una propria espressione compiuta, in purezza, diventando un vino identitario dal carattere autenticamente piemontese”. In cantina è possibile acquistarlo con 25 euro.
Il terzo ed ultimo vino in degustazione è il Barolo 2021, fatto con assemblaggi di 4 vigneti diversi, i più importanti dell’azienda. Un nettare da “abbinare” alla canzone “Killing me softly”: eleganza, struttura e potenza.
“Un vino equilibrato, che deve essere buono sempre”, spiega Matteo, fiero di questa grande annata, che sarà ancora migliore tra 6/8 anni, ma già da oggi ci regala belle emozioni.
“Il mio stile negli anni è cambiato. Sono in azienda dal 1988 e avrei voluto ripiantare tutti i vigneti”, confessa il produttore che, per questo Barolo, utilizza legno grande, neutro, leggero e meno invasivo, per lasciare sempre un’espressione chiara del vitigno di provenienza. Un vino che esprime in maniera chiara la sua origine, con una evoluzione di 4 anni in acciaio e almeno un anno e mezzo in legno. Un prodotto d’eccellenza, che si presenta di colore rosso non troppo intenso, al naso complesso, elegantissimo, con importanti sentori di mora e spezie. L’abbinamento proposto è col formaggio “Matinè”, di latte di capra, prodotto a Ponzano, sopra Acqui Terme. Un formaggio che avvolge la bocca e si sposa meravigliosamente con il vino in questione; una scelta alternativa al Castelmagno, ma assolutamente centrata.
40 euro il prezzo in cantina di questo vino, evolutosi nel tempo assieme alle idee del suo produttore, grazie anche ai viaggi da lui sostenuti negli ultimi 30 anni: “Molte volte i produttori tendono a seguire il mercato, ma il risultato delle nostre scelte non può mai essere veloce. Non possiamo imitare, ma dobbiamo fare quello in cui crediamo. Sviluppare un proprio credo richiede tempo, ma fa la differenza. Non si può inseguire, perché altrimenti si resta sempre dietro. Siamo ancorati a modelli di comunicazione sorpassati, ma è necessario abbattere le barriere e questo fa parte di un aspetto culturale difficile, perché la tendenza al lamento è estremamente diffusa”.
Parole affilate come lame di coltello, nette come i suoi grandi vini, frutto di grandi elementi, tra cui il clima che, però, è sempre più cangiante, costringendo chi fa vino a rivedere anche gli altri parametri. Una degustazione affascinante, ricca di preziosi elementi di riflessione, come quello con cui Matteo ci saluta: “C’è bisogno di input esterni, perché il sistema non si autoriforma. Si corre ai ripari sempre come conseguenza di un qualche elemento scatenante, anziché in autonomia.
Nessuno ha la soluzione, ma fare riflessioni preventive, è senz’altro utile”.
Il concetto di abbinamento musicale per Ascheri è, in generale, che il vino è piacere, quindi ognuno, soggettivamente, lo può abbinare a musica/arte/etc… per goderne al meglio, proprio come avvenuto con questa degustazione che porteremo a lungo con noi. Ricordi che riaffioreranno ogni qualvolta ci capiterà di riascoltare uno di questi brani, da gustare in compagnia dei vini di Matteo Ascheri, un sorso alla volta.
Raffaello De Crescenzo
Analista sensoriale laureato in Tecnologie Alimentari e in Viticoltura ed Enologia. Missionario del gusto con la passione per la divulgazione scientifica. Collabora con Vendemmie dal 2025, occupandosi soprattutto di interviste ed approfondimenti di settore