“Il nostro menù è come un’arca di Noè: salviamo i sapori della tradizione, all’innovazione ci pensano altri”

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Andrea e Paolo Gori raccontano Da Burde, storica trattoria di famiglia, dove la cucina è quella della nonna e in tavola non manca mai un calice: “Si continua a stappare come una volta, perché certi piatti non li puoi gustare con l’acqua”

di Alessandra Meldolesi

Andrea Gori è uno dei volti più noti del vino italiano: degustatore, wine expert, giornalista, manda avanti, con il fratello Paolo, Da Burde, locale famigliare fondato nel 1901, giunto alla quarta generazione. Uno di quei posti all’antica, dove la cucina era unica per la famiglia, che abitava di sopra, e la trattoria. “E io mi sono formato così, con mia nonna Irene”, racconta Paolo. “Da piccolo stavo vicino ai fornelli e davo una mano, poi ho fatto dell’altro e alla fine sono rientrato per prendere in mano il mestolo della nonna”.

Andrea: Io invece mi sono formato come biologo, poi ho svolto consulenze aziendali, prima di tornare a casa. Ed era l’ultima finestra, perché il babbo e i fratelli ci esortavano, dicendo che non avevano più voglia. Allora, visto che in cantina c’era spazio, mi sono iscritto ai corsi AIS e ho iniziato i concorsi, vincendo il titolo di miglior sommelier della Toscana, classificandomi secondo agli europei e diverse volte nella finale nazionale. La trattoria mi faceva conoscere nuovi vini e questo mi invitava a scrivere. Da lì sono partiti il blog e il giornalismo. Ma quando sono entrato Da Burde, originariamente una fiaschetteria, si beveva il vino sfuso della casa, che voleva dire Montalbano, oppure Lambrusco o un bianco siciliano. Io ho cercato di proporre sempre più offerta al calice e vini doc, toscani, biologici, naturali, con tanti nuovi protagonisti.

Paolo: Ogni locale ha una sua missione, credo che una trattoria debba mantenere e custodire le tradizioni. Dobbiamo assaggiare un piatto come ce l’ha trasmesso la storia, sennò il rischio è che si estingua, perché non è possibile ricrearlo leggendo la ricetta. Quindi la nostra carta è come un’arca di Noè, a volta teniamo un piatto pochi giorni solo per salvarne il sapore. Non manca in Italia chi fa innovazione, noi ci limitiamo a qualche aggiustamento, alleggerendo di grassi e di sale, ma il sapore cambia poco, senza stravolgimenti. Teniamo in particolare alle zuppe: la cucina toscana storica ne è ricchissima, un tempo fungevano da piatto unico in un tripudio di legumi, verdure e carboidrati, che oggi corrispondono alla formula nutrizionale perfetta. Siamo a Firenze e la bistecca è parte del nostro patrimonio, ma la fanno più il macellaio e l’allevatore del cuoco, è questione di filiera. E amiamo le lunghe cotture, che nelle famiglie sempre più piccole sono cadute nel dimenticatoio, perché uno spezzatino non puoi farlo per due

Andrea: La nostra offerta al calice comprende un paio di referenze per ogni tipo di piatto, antipasti, primi, secondi alla griglia eccetera. Poi il venerdì è il giorno delle degustazioni, per esempio bistecca e Champagne. Possiamo partire dai vini, su cui immaginiamo un menu composto anche di piatti che non facciamo tutti i giorni, come il cervello fritto. Oppure viceversa. Può anche essere il modo per introdurre una nuova azienda in carta. All’inizio io e Paolo facevamo più assaggi, ora andiamo a occhio. Racconto la struttura e gli aromi del vino, gli scatta qualcosa in testa e trova l’ingrediente per l’aggancio. Quasi tutto a voce, sulle sensazioni.

Paolo: Anche io sono sommelier e degustatore ufficiale AIS, quindi parto avvantaggiato. In una vera trattoria poi non esiste una divisione netta fra cucina e sala, quindi c’è tanto dialogo e contaminazione. Facendo cucina tradizionale, i piatti non sono equilibrati in sé e spesso sposano vini altrettanto “squilibrati”, non adatti a un wine bar. Ma quando tutto è troppo perfetto, è nauseante. Da noi invece si continua a stappare, perché su certe ricette tradizionali non puoi bere l’acqua.

Andrea: Credo di poter dire che vantiamo la carta dei vini più completa al mondo per la Toscana. Qualcosa di abbastanza folle, con 600 referenze, 16 sottozone del Chianti Classico e il Brunello suddiviso per versanti, tutto illustrato dalle mappe di Masnaghetti. Esiste un percorso componibile basato sui nostri 20 vini al bicchiere, con la possibilità di scegliere anche il quartino. E sul tavolo l’ospite già trova una bottiglia, che può decidere di stappare. Devo dire che vendiamo lo stesso vino di prima, tanto che oggi con me c’è un secondo sommelier, Marco.

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Immagine di Alessandra Meldolesi

Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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