Antonio Iacoviello ed Elisabetta Urgelli raccontano i loro percorsi differenti che oggi convergono al Pievano: “I clienti si fanno la loro idea senza condizionamenti, così il vino non accompagna soltanto, ma diventa gioco e scoperta”
di Alessandra Meldolesi
Ha un curriculum da fare invidia, Antonio Iacoviello, chef di natali campani passato a bottega dai grandi del mondo prima di guidare per quattro anni la Gucci Osteria di Massimo Bottura a Tokyo e conquistarvi la stella. Oggi è finalmente protagonista nella quiete bucolica della Toscana, al Pievano del Castello di Spaltenna, insieme alla sommelier Elisabetta Urgelli.
Iacoviello: La mia prima esperienza si è svolta in Francia nel 2003, quando sono entrato a far parte del team di Alain Ducasse al Byblos di Saint-Tropez. Ho iniziato come commis, assorbendo il ritmo e il rigore del fine dining. Sono poi tornato in Italia nel 2006 per cucinare al ristorante Il Buco di Peppe Aversa, sulla Costiera Amalfitana. Questo percorso è proseguito al Don Alfonso 1890 sotto la guida dello chef Alfonso Iaccarino, approfondendo il mio rispetto per le materie prime e la purezza dei sapori. Successivamente, a Roma, al Magnolia con Kotaro Noda ho scoperto un’affinità culturale tra la filosofia culinaria italiana e quella giapponese. Sono seguiti periodi di lavoro al De Pisis di Venezia e al Marennà in Campania. Mi sono poi trasferito a Copenhagen per entrare a far parte del team del Noma, prima di tornare in Italia per lavorare con Massimo Bottura alla Gucci Osteria di Firenze e all’Osteria Francescana di Modena. Bottura mi ha quindi invitato a Tokyo. Tornato in Italia per stare vicino alla mia famiglia, ho assunto la guida de Il Pievano al Castello di Spaltenna all’inizio della stagione 2025. Per quanto riguarda il vino, è un elemento importante della mia cucina e dei miei piatti. Ho sempre pensato che il calice giusto possa accompagnare una pietanza e valorizzarla nel migliore dei modi, perfezionando sia il sapore del piatto che l’esperienza culinaria.
Urgelli: Il mio percorso per diventare sommelier è stato piuttosto insolito, poiché non provengo dal mondo della ristorazione. Ho iniziato studiando architettura e, in seguito, ho aperto una palestra; parallelamente, nel tempo libero, ho intrapreso il percorso AIS e quello ANAG su grappe e acquaviti. Ho inoltre frequentato la prima parte dell’École de Champagne in Italia e mi preparo ora ad affrontare la seconda. Grazie all’AIS ho avuto l’opportunità di avvicinarmi concretamente a questa professione: sono entrata a far parte del gruppo servizio e fin da subito ho preso parte a eventi di rilievo. In seguito sono arrivati i primi servizi privati accanto a chef rinomati e, da lì, la chiamata del Castello di Spaltenna per alcune sostituzioni. È stato l’inizio di un percorso che mi ha portata a lavorare stabilmente come sommelier. Si può dire che io sia entrata in questo mondo attraverso una finestra piuttosto che dalla porta principale, ma il vino ha sempre fatto parte della mia vita. I miei ricordi più belli dell’infanzia sono legati alla vendemmia: i miei nonni avevano una vigna e i loro fratelli gestivano una piccola azienda a Montalcino, dove producevano e vendevano vino. Per questo mi sento molto fortunata: oggi ho la possibilità di portare avanti una passione tramandata di generazione in generazione.
Iacoviello: Con Elisabetta lavoriamo a strettissimo contatto: parliamo del piatto, lo assaggiamo insieme, poi proviamo le bottiglie. Cerchiamo sfumature che possano esaltare ogni sapore. Scambiamo informazioni sulle tecniche della cucina e sulle caratteristiche dei vini, in modo da migliorare la conoscenza di entrambi e offrire un’esperienza a tutto tondo. Questa collaborazione si estende anche ai succhi e agli altri alcolici. È una parte fondamentale nello sviluppo del menù.
Urgelli: Quando sono arrivata al Castello, c’era già una cantina importante. Ho cominciato da lì, aggiungendo vini di mio gusto, che potessero interessare i clienti, e vini adatti alla cucina dello chef. Trovandoci nel Chianti, i più si aspettano prodotti locali, quindi ho intrapreso un lavoro di ricerca interessante, scovando etichette particolari che rappresentano la nostra regione, ma che si abbinano bene con la cucina dello chef e con le sue influenze internazionali.
Quando arrivo a tavola, poi, la prima domanda è sulle preferenze degli ospiti – bianchi, rossi, bolle -, in modo da adattarmi ai loro gusti. Amo proporre un abbinamento alla cieca, che si affianca perfettamente al menu omakase della cucina. È un gioco divertente: il cliente si fa la sua idea su ciascun vino e solo alla fine, durante i petits fours, rivelo le etichette e mostro le bottiglie. Spesso è un momento di sorpresa, che rende l’esperienza ancora più speciale.
Di volta in volta la sfida è quella di accompagnare nel modo migliore persistenze e speziature, e questo richiede un confronto costante. Parlo tantissimo con lo chef, che è sempre molto disponibile e attento a rendere tutto chiaro per il nostro lavoro in sala. Nei casi in cui non posso assaggiare i piatti (poiché soffro di un’allergia alimentare), lo chef descrive con precisione tutti i gusti e le indicazioni per l’abbinamento. Tiene moltissimo al vino e al suo ruolo nell’esperienza culinaria.

Alessandra Meldolesi
Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.