Bianco o rosso? Fermo o bollicine? Secco o dolce? Leggero o strutturato? Quante volte abbiamo affrontato questi dubbi esistenziali – e con quanta passione! – tagliando a metà tavolate in cui qualcuno dei presenti pretendeva di scegliere la bottiglia… e via di polemiche e discussioni. Ma d’altronde parlare di vino mentre beviamo ci fa stare bene, così come ci piace parlare di cibo mentre siamo a tavola. Magari infervorandoci parecchio, perché per noi italiani la tavola è una cosa importante. D’altra parte, come dice Arianna all’assistente di regia Alessandro in Boris, “la ristorazione è l’unica cosa seria di questo Paese”. E qual è l’altro tema che ci fa scaldare tanto? Esatto: il calcio. Perché, come diceva Churchill (poi giuriamo, basta citazioni) “gli italiani vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra”. Che poi, francamente, non è per niente un’offesa. Eccoci allora pronti a raccontare una delle tante rivalità che fanno battere il cuore dei tifosi italiani, quella tra Atalanta e Roma. Preparate i bicchieri: per la trentunesima giornata Champions Wine fa un salto a Bergamo.
di Raffaele Cumani & Antonio Cardarelli
Raccontare le tante rivalità che animano il calcio italiano sarebbe impossibile. Già, perché oltre ai derby di Roma, Torino, Milano e Genova, ci sono tante altre partite sentitissime dalle tifoserie nonostante i chilometri che le separano. Campanilismi che affondano le radici nel passato, in tradizioni che hanno forgiato anche le peculiarità eno-culinarie. Quindi abbiamo scelto Atalanta-Roma come emblema di queste rivalità. E pensare che fino ai primi anni ’80 le due curve andavano d’amore e d’accordo… incredibile a dirsi visto quello che è successo negli ultimi anni. Ma prima di raccontare il casus belli facciamo un passo indietro, precisamente al 6 maggio 1979. Ormai siamo abituati a sfide tra Atalanta e Roma quasi sempre con vista sulla Champions, ma in quella partita – giocata però all’Olimpico – le due squadre giocavano per salvare la pelle e rimanere in Serie A. Alla fine la spuntò la Roma grazie al 2-2 firmato Pruzzo, lo stesso bomber coi baffi che poi sarà protagonista della grande Roma del secondo Scudetto insieme a Falcao e Bruno Conti. Per volare sempre alti noi ricordiamo il bomber mentre infligge una “manita” ante-litteram ad un delusissimo Oronzo Canà ne L’allenatore nel pallone. Pellicola che non può mai mancare per il vero esperto eno-calcistico.
Atalanta e Roma gemellate. Non è roba da Metaverso o da futuro distopico, ma un dato di fatto risalente a qualche decennio fa. Un’amicizia favorita anche dalle comuni simpatie politiche (di sinistra) che all’epoca univano Cucs (Commando Ultrà Curva Sud) e Brigate Nerazzurre. Ma tutto cambia nel settembre del 1984, durante un Atalanta-Roma, quando il nuovo gruppo di tifosi atalantini Wild Kaos fa partire i primi cori pro-Liverpool (pochi mesi prima la Roma aveva perso la finale di Coppa dei Campioni contro gli inglesi ai rigori). Determinati a rompere la storica amicizia con i romanisti, gli stessi Wild Kaos rubano uno striscione ai tifosi giallorossi: l’insulto supremo per qualsiasi gruppo ultrà. Da quel momento in poi si apre la spaccatura tra le due tifoserie diventa sempre più ampia, fino a sfociare in sfottò sempre più pesanti e arrivare a scontri, denunce e feriti. Tornando (più o meno) nel campo della goliardia tra tifosi, in casa nerazzurra è celebre l’episodio del carro armato sfoggiato in occasione della Festa della Dea del 2013 (con a bordo Migliaccio e il mitico Stromberg) che schiaccia due macchine con i colori della Roma e del Brescia, altra rivale storica. Una sorta di tradizione, quella del carro armato, per i tifosi dell’Atalanta che negli anni in cui la maglia numero 9 era indossata dal “tanque” German Denis è diventata ancora più significativa.
Una delle auto schiacciate dal carro nerazzurro, dicevamo, ha i colori dell’odiatissima – dagli atalantini – Brescia. E l’altro incrocio tra Roma e Atalanta che abbiamo ripescato passa proprio da Brescia e dalla corsa più celebre di un allenatore di Serie A, nonostante grandi precedenti come quella di Malesani sotto la curva del Verona o di Mourinho sotto i tifosi dell’Inter a Barcellona. Parliamo del grande Carlo Mazzone, romano che più romano non si può, fomentato dal 3-3 in Brescia-Atalanta segnato da Baggio, e del mitico scatto verso il settore ospiti con pugno alzato e grido di battaglia: “Mortacci vostra!”. Era il 30 settembre 2001. Cori contro Roma, la Roma e soprattutto contro la mamma dell’allora allenatore del Brescia. Tifoso giallorosso doc, dopo il 2-3 Mazzone promette “se famo er terzo vengo là sotto”. Detto fatto, Baggio insacca il pareggio con una punizione velenosa e sor Carlo scatta come un ragazzino diventando immediatamente un idolo. Per chi l’avesse dimenticato, ecco il video di uno dei momenti più iconici degli ultimi 30 anni di serie A con le parole di Mazzone che… incolpa Baggio!
E per chi non l’avesse ancora visto, consigliamo vivamente il docufilm “Come un padre”, dedicato proprio al grande Carlo Mazzone, papà del calcio italiano. Ma quando si parla di Roma è difficile non citare Francesco Totti. Ecco allora che vale la pena ricordare uno degli ultimi acuti del Capitano (maiuscola non casuale) proprio a Bergamo, in occasione di un altro 3-3 fondamentale per la qualificazione europea della Roma. Siamo ad aprile del 2016 e Totti, in rotta totale con Spalletti, viene buttato nella mischia a 13 minuti dalla fine e con un destro dal limite firma il pareggio. Giubilo? Festeggiamenti? Neanche per sogno, negli spogliatoi la tensione regna suprema e Spalletti, nel post partita, coglie l’occasione per ricordare al mondo che Totti, ormai, vale quanto gli altri compagni di squadra.
Si vola sempre più in alto con bagarre da spogliatoio tra capitani e allenatori e allenatori che esplodono sotto la curva. Ma la passione per il calcio è anche questo! Abbiamo esordito con un paio di dicotomie da appassionati di vino, ma visto che siamo in clima di tifo calcistico ce n’è una che fa letteralmente impazzire i winelover più intransigenti. Perché in effetti non c’è una vera dicotomia quando parliamo di… “secco o fruttato?” Quante volte sbicchieratori da bar ci hanno posto la domanda? Chiariamo una volta per tutte, se il vino non è secco sarà dolce, o al più amabile o abboccato, e la gran parte dei vini è sia fruttata che secca. E il contrario di fruttato è… boh? Forse non c’è un contrario ma al massimo altre sensazioni che “completano” e arricchiscono il vino e tutto sommato, a parte casi estremi, qualche nota fruttata si trova quasi sempre nel vino. E se non ci fosse mancherebbe qualcosa… Ma questa come sempre è un’altra storia.
Beh, a noi di Champions Wine, ormai è noto, piace complicarci la vita e abbiamo, al netto delle precisazioni, deciso di accettare la famigerata dicotomia da bar. Perché il vino è innanzitutto patrimonio dei tipi da bancone che tifano magari qualche squadra improbabile. E allora proviamo ad interpretare cosa ci viene chiesto quanto ci viene posta la fatal domanda: secco o fruttato? Forse di scegliere tra le “durezze” come freschezza, verticalità e sapidità più pronunciate o le sensazioni aromatiche più intense che a volte danno un’idea di maggiore “dolcezza” di frutto. Stiamo parlando di idee perché il frutto e la morbidezza ci sono anche nei vini più verticali e viceversa sapidità e acidità non mancano neppure nei vini aromatici.
Insomma, tentiamo per gioco di seguire questa improbabile rivalità con i nostri consigli per la partita. Partiamo dal mare con un vino che ha tutta la salinità e la freschezza costiera. Siamo in Maremma, uva vermentino (in grande crescita qualitativa negli ultimi anni in zona), con il Matan di La Biagiola. C’è il frutto, è chiaro, i fiori, la morbidezza, ma una grande freschezza e sensazioni minerali e sapide dissetanti! Sensazioni che ritroviamo certamente sul vulcano italiano per eccellenza. “A Muntagna”, “Iddu”, chiamate come volete l’Etna, nuova El Dorado del vino italiano che secondo noi produce alcuni tra i bianchi più interessanti del mondo di cui vi abbiamo in parte già parlato. A proposito di verticalità, ecco un vino che nel nome omaggia la storica ferrovia circumetnea. Fermata 125 di Baglio di Pianetto, carricante in purezza, ha note agrumate e floreali certo, ma è un vino dall’acidità scalpitante e sapidità balsamica tipica del territorio, con tutta la tensione e l’energia del vulcano.
Sul fronte opposto rimaniamo in Sicilia. Da Pantelleria, isola nell’isola ma sempre vulcanica, un grande classico, il Lighea di Donnafugata è un vino di grande suadenza e “accoglienza” da uva zibibbo. Vino secco ovviamente (e super sapido e fresco, di vulcano e mare), ma dove l’entrata agrumata, floreale e di frutta esotica è intensa e marcante. Ci spingiamo oltre con l’aromatico per eccellenza, il gewürztraminer (aka lo speziato, il profumato di Termeno). Abbiamo scelto l’Aristos di Cantina Valle Isarco. Naso stupendo e tipicamente floreale, con una nota chiarissima di rosa. La bocca è snella, con una gran freschezza e ancora le sensazioni di rosa e fiori, per un vino comunque sempre elegante e beverino.
Insomma, abbiamo fatto un gioco, perché al di là delle bagarre da bar, se il calcio unisce e divide allo stesso tempo il vino per essere grande deve avere equilibrio, e insieme un po’ tutte le sensazioni. Come quelle che ci piace trovare nel calcio, squadre diverse, passioni diverse, approcci differenti come quelli di Gasperini e Mourinho. E a proposito dell’oracolo di Setubal, chiudiamo con una frase che per noi appassionati eno-calcistici è ormai un mantra: “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”. Prosit!