di Paolo Caruso
Alcuni vinaccioli fossili hanno 2 milioni di anni. Oltre 100 i vitigni autoctoni, 13 le denominazioni. La risorsa dell’Etna. Quanta influenza nella diffusione: greci, fenici, romani…
La Sicilia è stata da sempre un crocevia di popoli, civiltà e culture e la sua evoluzione, che ne hanno fatto una riserva imprescindibile da cui attingere risorse genetiche naturali e culturali per differenziare le produzioni enologiche.
L’Isola per l’irripetibile miscela di elementi storici, sociali e geografici ha costituito uno dei più importanti centri di diffusione della viticoltura.
In Sicilia la viticoltura vanta una tradizione millenaria: si ritiene che la vite crescesse spontaneamente nell’Isola ancor prima che l’essere umano facesse la sua comparsa sul pianeta Terra.
Alle falde dell’Etna e nelle Isole Eolie sono stati ritrovati vinaccioli fossili risalenti ad almeno 2 milioni di anni fa (era terziaria), successivamente sono state repertate notizie che testimoniano il consumo di vino presso gli Elimi e gli altri popoli presenti in Sicilia durante l’età del Bronzo.
La storia dell’evoluzione del vino in Sicilia corrisponde, quasi fedelmente, al succedersi delle tredici dominazioni presenti nell’Isola sin dalla notte dei tempi.
Il maggiore contributo alla diffusione della viticoltura in Sicilia va però ascritto ai fenici, mentre i Greci furono artefici del perfezionamento della tecnica colturale e dell’importazione di vitigni autoctoni della penisola ellenica, come ad esempio gli antenati dell’Inzolia, del Grecanico e del Catarratto, varietà a bacca bianca tra le più coltivate attualmente in Sicilia.
Romani, Normanni, Aragonesi e Borbonici contriburono in modo significativo alla diffusione del vino siciliano in tutta Europa, facendone apprezzare le straordinarie qualità.

Il succedersi di queste dominazioni, sommato alla posizione centromediterranea e alla straordinaria ricchezza di ambienti pedoclimatici, ha consentito alla Sicilia di essere considerata, in termini di presenza di biodiversità come un “Continente”, termine utilizzato anche recentemente dal National Geographic. A conferma di questa straordinaria diversificazione varietale e ambientale, basti pensare che la vendemmia in Sicilia comincia a fine luglio con i bianchi più precoci e si conclude a novembre, se non ai primi di dicembre, sull’Etna.
Il settore vitivinicolo siciliano beneficia di questa straordinaria combinazione annoverando attualmente più di cento vitigni autoctoni siciliani selezionati e catalogati.
La diversità biologica della vite coltivata è il risultato di selezioni, ricombinazioni geniche e mutazioni operate dall’uomo e dall’ambiente nel corso dei millenni, un patrimonio unico perché impossibile da replicare in laboratorio.
Una ricerca scientifica dal titolo Microsatellite analyses for evaluation of genetic diversity among Sicilian grapevine cultivars (Carimi et al., 2010) ha avuto come obiettivo l’esplorazione della biodiversità genetica della piattaforma ampelografica siciliana e l’individuazione delle relazioni genetiche tra le varietà siciliane ed i maggiori vitigni italiani.

Sono state esaminate 72 accessioni di vite che hanno mostrato numerosi casi di sinonimie. Al netto di queste analogie sono stati identificati, in totale, 48 profili genetici unici.
Questo elevato numero conferma l’alta variabilità della piattaforma viticola siciliana, composta sia da varietà principali, largamente utilizzate per produzioni enologiche di elevata qualità, sia da varietà minori, molto interessanti grazie al loro potenziale agronomico ed enologico.
Dall’analisi dei sinonimi è stato riscontrato che in Sicilia sono coltivate, con le medesime denominazioni o con denominazioni locali, cultivar che hanno maggiore o minore rilevanza in altre regioni viticole italiane ed internazionali. Ad esempio il Moscato bianco, coltivato nel Nord Italia come Moscato bianco o Moscato di Canelli, in Campania come Moscato di Baselice ed in Francia come Muscat Blanc à Petits Grains (Crespan and Milani, 2001; Costantini et al., 2005);
Per continuare con Bracau e Malvasia, coltivati in Campania con le denominazioni di Nerella e Sanginella rispettivamente (Costantini et al., 2005).
La ricerca conferma, qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, la presenza in Sicilia di un patrimonio straordinario di biodiversità, una ricchezza da tutelare, tramandare e valorizzare: non tutto si può replicare in laboratorio, neanche (forse) con l’intelligenza artificiale.
Paolo Caruso | Creatore del progetto di comunicazione “Foodiverso” (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il “Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente” dell’Università di Catania. Consulente di numerose aziende agroalimentari, è considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità
Bibliografia
Brancadoro L., De Lorenzis G., 2014. Caratterizzazione genetico-molecolare della piattaforma ampelografica siciliana. Identità e ricchezza del vigneto sicilia / a cura di Giacomo Ansaldi … [et al.]. –Palermo: Regione Siciliana, Assessorato dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, 2014.
Carimi F., Mercati F., Abbate L., Sunseri F., 2010 – Microsatellite analyses for evaluation of genetic diversity among Sicilian grapevine cultivars. Genet. Resour. Crop. Evol. 57, 703-719.
Crespan M., Milani N., 2001 – The Muscats: a molecular analysis of synonyms, homonyms and genetic relationships within a large family of grapevine cultivars. Vitis 40, 23-30;
Costantini L., Monaco A., Vouillamoz J.F., Forlani M., Grando M.S., 2005 – Genetic relationships among local Vitis vinifera cultivars from Campania. Vitis 44, 25-34;
Pastena B., 1989. La civiltà della vite in Sicilia, 1989, 4°, pp. 378