Viaggio nel crotonese tra bottiglie avvolte da un foglio di giornale, collane di peperoncini, pane e sardella, un salto al mare…
di Nello Gatti
Come Bergamo e Gabicce, anche nella punta dello stivale esiste una città divisa in due: Cirò. Quella simpatica sigla KR ad indicare la provincia di Crotone rappresenta, oltre ad un’interminabile striscia stradale che collega Ionio ad abusi edilizi, la capitale del Gaglioppo.
Acino grosso, zuccheri concentrati e influenze mediterranee, raccoglie pregi e difetti di una comunità chiusa ma ospitale, benevola ma egoista. Come ogni grande traguardo nella vita, non si raggiunge facilmente e vista l’improbabilità di arrivare a destinazione in orario, ci si concede qualche “spazio talk” tra bar e stazioni di servizio, ristoranti alla buona e negozi di artigianato locale. Carrellate di peperoncino appesi e isole verdi fanno da separè alla statale Jonica che prima ci porta alla spiaggia di Marinella, meno triste di quella di De Andrè, e poi ci fa risalire lungo il vecchio paese chiamato Cirò.
Il tracciato è tortuoso, ma lascia inevitabilmente un segnale di fascino decadente a ricordare Matera prima del suo restyling o una foto dei nostri nonni in quei cortili ingialliti… Alla stazione di servizio, una delle pochissime incontrate qua attorno, mi viene detto “lo facciamo per voi, per non lasciarvi andar più via”, destinando allo stesso messaggio di accoglienza e ospitalità un brutale senso all’adattamento, ironizzando sulle catastrofi e i drammi che da decenni legano questa terra a vetrine promozionali non sempre dolci. In questa stessa terra di rifugio e rifugiati infatti sorge Brigante, non un inno al passato pre-unitario, ma una dedica alla località scudo dei guerrieri che si opposero all’esercito Regio. La struttura è essenziale ma coerente, vivace e pensante, con Enzo alla cabina di regia a parlar del suo vino come lo si fa quando si parla del suo primo grande amore. Le bottiglie sono davvero stupende, un gesto antico che lega al messaggio del padre un format che oggi definiremmo etico e sostenibile, avvolgendo nella carta la sua bottiglia da un litro. Oggi lo si fa per abbattere gli sprechi, ma una volta era per difendere il bene più prezioso della propria terra e consegnarlo senza “incidenti di percorso” a chi ci ha dedicato la propria attenzione.
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Enzo mi fa trattenere a stento le lacrime quando lo racconta, portandomi a esplorare i propri vigneti che hanno visto la sua intera famiglia lavorare duro fra rocce scoscese e filari di vigna da legare a morsi, sputi e qualche raro sorriso. L’altro socio ha invece deciso di fare vita da capitale, in quella Roma dove Cirò trova più ascolto e le operazioni si coordinano meglio, nonostante i caos e gli altarini che per certi versi accomunano Roma alla Calabria.
E tutti quei luoghi comuni sui calabresi che mangiano tutto piccante? Lasciamoli a chi questo pezzo di roccia non l’ha mai superato: qui – oltre alle collane di peperoncino – sopravvivono distese di ulivi e rigogliose piante di bergamotto, a dar trionfo di una regione che sa quanto è preziosa la propria terra.
“Calabria mia” come la canzone di Rino Gaetano è anche mare, soprattutto mare! E allora scendi giù dalla montagna, segui quelle strade dove tra parcheggi e infrastrutture stilisticamente senza senso, ti portano nella zona 2, quella che titola “Cirò Marina”.
La passerella di palme e ristoranti fra sabbia e mare non ricorda esattamente Ocean Drive, ma è una buona metafora della vacanza all’italiana tra lidi e bagnini, pizzerie e negozi con un po’ di tutto al servizio del turista.
La si attraversa con un doveroso pit-stop a pane e sardella, in uno dei tanti ristoranti old style, fino a raggiungere Crucoli dove lassù in torretta c’è l’artista surreale del Gaglioppo, Enza Greco. Sguardo da femme fatale, illusioni da Madame Bovary e caratteraccio alla Veuve Clicquot, è riuscita grazie all’opera della nonna imprenditrice a ritagliarsi l’appellativo di “Grande Dame de Cirò”, dando un tocco di vita alle etichette e spruzzi di colore alle attività dell’azienda.
Ha studiato a Torino, ma quell’accento fiero e marcato lasciano intendere che preferisce il mar Ionio a Cavour, mentre quella serpentina di fiere ed eventi internazionali la portano a far girar come fosse la famosa bambola di Patty Pravo. Le chiedo dei suoi studi e come si interfaccia al pubblico internazionale, risponde “non ho problemi, parlo due lingue: l’italiano e il calabrese”, mentre nasconde sensibilità e bellezza interiore dietro quella ruvidezza da primo approccio, con “Chi te vò bene te fa chiagnere”. Un motto che le si è incollato addosso, oltre quei tatuaggi che le adornano il braccio e lungo quel sentiero che dalle strette e colorate strade di Cirò, vedono tanta dolcezza concentrata non solo nei suoi folti grappoli, ma anche nelle sue persone.
Il suo è un approccio fresco, leggero ma anche pragmatico, una dose è un concentrato di divertimento e passione che riescono a raccontarci meglio di ogni banale descrittore i suoi vini.
Andar via da qui non è semplice, per le strade e perchè sai che tornarci non sarà facile, ma la rotta per la casa di Dio ha sicuramente uno dei suoi principali checkpoint qui, tra sabbia e roccia, dove Cirò rima con ritornerò.
Nello Gatti
Vendemmia tardiva 1989, poliglotta, una laurea in Economia e Management tra Salerno e Vienna, una penna sempre pronta a scrivere ed un calice mezzo tra mille viaggi, soggiorni ed esperienze all'estero. Insolito blend di Lacryma Christi nato in DOCG irpina e cresciuto nella Lambrusco Valley, tutto il resto è una WINE FICTION.