Basso Piemonte, alti i suoi castelli. È l’isola verde tra le province di Torino ed Asti: il Roero. Lo stemma della casata è in tinta rossa, come rosse sono le sue fragole e la bacca dei principali vitigni qui coltivati. Ma il futuro qui è roseo, verde o grigio? Lo chiediamo ad Adriano Moretti di Bajaj – Monteu Roero.
di Nello Gatti
Cosa resta delle nobili origini del Roero?
Delle nobili origini del Roero, restano le torri ed i bellissimi castelli che svettano sulle nostre colline, come il Castello di Monteu Roero dove soggiornò anche Federico Barbarossa in fuga dalla peste di Milano e oggi di proprietà della famiglia Berta, dell’omonima e celebre distilleria di Mombaruzzo. Oggi, ahimè, molti di questi baluardi del nostro passato non sono visitabili o necessitano di restauri. Di certo, in futuro, si migliorerà anche questo aspetto. Non ci sono storie correlate (che io sappia) tra la nobiltà che viveva in queste terre e la nostra produzione vitivinicola, ma possiamo dedurre che il vino non sia stata “una recente scoperta” in questa zona.
Ricordo al FIVI di averti visto con una grande cartina geografica ad indicare un arcipelago piuttosto che un territorio. Cosa era rappresentato?
Nella cartina sono rappresentati i comuni dove è possibile produrre le denominazioni Roero in cui ci sono delle zone colorate che rappresentano le MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive) del nostro territorio, ovvero le zone di maggiore qualità. Ci sono vigneti anche nelle zone non colorate, ma è stata fatta la scelta di premiare le zone e le colline più vocate (50% dei vigneti del Roero è fuori dalle menzioni). La parte riguardante suoli ed altitudini è più complessa, la riassumerei dicendo che è difficile individuare nel Roero una tipologia unica di “terroir”. Per questo, secondo me, spesso è difficile parlare di tipicità nel Roero. Dalla sabbia alle argille rosse, dai 200 m ai 400 m slm viviamo in un territorio dalle mille espressioni.
Da un lato la fortuna di trovarsi in Piemonte, dall’altro il dover sgomitare per farsi spazio dai potenti vicini? A cosa puntate, una differenziazione sostanziale o al buon vicinato?
Io credo che la competizione esista per chi crede che il proprio prodotto non sia abbastanza buono per stare nel mercato. Il mercato del vino è in contrazione, ma è comunque enorme e c’è spazio per tutti. Il futuro del Roero è staccarsi da un passato fatto di emulazione dei più celebri vicini, e la presa di coscienza che la diversità è una ricchezza. Nel lungo periodo spero che Langhe, Roero e Monferrato potranno essere territori in grado di dialogare e fare squadra nel mondo del vino che conta. Diversamente, anche i “potenti vicini”, non potranno vivere in eterno della fama guadagnata negli anni. Tutto è ciclico. Avremmo mai pensato che il Timorasso dei Colli Tortonesi avrebbe dato una “spallata” agli altri bianchi piemontesi nei mercati internazionali?
Clima e natura: ho letto che “fra queste colline anche il silenzio è verde” ma qualcosa sta cambiando anche qui. Quali sono gli scenari attuali?
Sì, qualcosa sta cambiando. Il clima è sicuramente una sfida che in un futuro più che prossimo dovrà essere presa sul serio, specialmente da chi ci governa e dalle associazioni di settore che dovrebbero farsi sentire un po’ di più. Andrà rivisto il nostro modo di concepire la vigna e bisognerà essere sempre più precisi e chirurgici nelle scelte e nelle azioni compiute in campo. Si tratta di adattamento a condizioni che cambiano che, anche se spaventano, vanno affrontate se non vogliamo “estinguerci” come i dinosauri. Facciamo la nostra parte.
Enoturismo: come farlo bene? Siete coesi in tal senso? Tu per esempio cosa offri e d’altro canto come promuoversi correttamente all’estero?
L’enoturismo è materia che richiede studio e preparazione. Attenzione; non intendo la creazione di un’esperienza fredda ed informale. Mi riferisco piuttosto all’offerta di un momento che, seppur conviviale, mostri che dietro la nostra bottiglia esiste una professionalità. Spesso si punta a creare un enoturismo becero che porta molti risultati nell’immediato, ma nulla per il futuro. Le visite e le esperienze in cantina, sono il momento migliore per “fare cultura del bere”. Non importa che il nostro avventore abbia 20, 40 o 70 anni. Il nostro lavoro (e piacere) è raccontare quello che, ogni giorno, svolgiamo con amore. Nella mia azienda offriamo dalla semplice visita in azienda con degustazione, al pranzo in agriturismo con i nostri prodotti (siamo anche Azienda Agricola), dal corso di cucina, alla passeggiata didattica nei terreni aziendali alla scoperta del territorio.
Le persone talvolta si rivolgono a me quasi come ad un tour operator. Mi chiedono dove mangiare, dove dormire o quali attività svolgere, e anche se il mio guadagno monetario è pari a 0, in quel momento mi rendo conto che sto facendo crescere tanto il Roero. Una volta mio padre mi sgridava perché diceva che nessuno avrebbe fatto lo stesso per me, ma io sono testardo e, come la goccia che cadendo crea un solco nella pietra, ho continuato ed oggi sono orgoglioso di collaborare con tante realtà di altri settori, con le quali abbiamo creato una rete. I miei colleghi fanno lo stesso e spesso ci “mandiamo” clienti a vicenda. Questo dà anche un’ottima immagine di coesione e spesso i turisti ne rimangono stupiti! Per promuoversi all’estero, occorre fare una sola cosa: essere autentici. Siamo tutti convinti che il cliente straniero cerchi per forza gli effetti speciali, ma spesso vuole solo ciò che i soldi non possono acquistare. L’autenticità della nostra terra, delle nostre tradizioni e dei nostri modi, sono le uniche cose che non si possono imitare. La difficoltà sta nell’offrire una proposta variegata che spinga chi visita questi territori a fermarsi il più possibile, ma la strada è ancora lunga.
Food pairing territoriale, cosa offre la tua zona?
Quando si parla di Roero, è impossibile non citare la fragola coltivata in queste zone che, negli anni, ha fatto la fortuna di molti agricoltori, anche se la produzione è limitata e quindi non riesce a raggiungere la grande distribuzione, rimanendo un prodotto di nicchia per pochi. La pesca di Canale è un altro prodotto che ha fatto la fortuna di molti agricoltori ma che, negli anni, ha lasciato spazio alla produzione vitivinicola, salvo rare eccezioni. Un vero peccato. Il Roero è inoltre terra di apicoltori. Tante piccole aziende che vanno ad incastonarsi come gemme preziose nel perfetto ecosistema del nostro verde Roero. Infine, menzione speciale per l’unico pastore del Roero, proprietario del più piccolo caseificio del Piemonte. Paolo Pertusio e suo fratello conducono un allevamento di pecore e capre allevate nei nostri boschi, e producono formaggi di altissima qualità. Sono l’orgoglio del nostro paese!