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Il futuro di Cirò DOC: è rosa intenso, come il nostro vino

Tempo di lettura: 5 minuti

Quattro produttori, quattro figure diverse e complementari tra loro, un distretto privilegiato dalle antiche origini.

di Valeria Lopis Rossi

Strette tra mare e monti, le vigne di Cirò e Cirò Marina (KR) sono una sequenza verde tra le sabbie della costa e i profili della Sila. Una posizione ideale che beneficia del respiro ampio e fresco della catena montuosa e del calore del Mediterraneo. Un distretto vitivinicolo privilegiato e dalle antiche origini, già proficuo al tempo di Kroton la città egemone della Magna Grecia. La pratica agricola del vino del Palmento e uve sane grazie ad un clima mite e temperato sono state le risorse di una civiltà enoica millenaria. Un impero che però non è stato risparmiato dagli anni dell’industrializzazione e della massificazione italiana, un processo superato grazie a nuove intuizioni. 
Oggi è in corso un’altra fase a Cirò, comunità viva ed abitata da produttori capaci che credono in un vino coerente e autentico. Ma cosa riserva il futuro in questo angolo calabro? Lo abbiamo chiesto a quattro produttori, tutte figure diverse e complementari tra loro.

Mariangela Parrilla
Mariangela Parrilla

Mariangela Parrilla, produttrice 

“Il riconoscimento della nostra denominazione di origine controllata risale al 1969: in ordine cronologico è stata la prima in Calabria e la 13ª d’Italia. Il vino Cirò prende il nome dal paese e sono tanti gli elementi che fanno pensare a quanto effettivamente è importante qui da noi la viticoltura – racconta Mariangela Parrilla, produttrice e cofondatrice del movimento Cirò Revolution – gli anni ’80/’90 sono stati un periodo critico, si cercava pericolosamente di imitare qualcun altro arrivando a correggere quelle che sono le caratteristiche del Gaglioppo pur di assecondare le scelte di massa di quel tempo. Grazie ai giovani abbiamo ritrovato quel voler riaffermare l’identità territoriale a tutti i costi, nei primi anni 2000 c’è stata questa coincidenza tra liberi produttori alla ricerca di autenticità e un nuovo gusto del consumatore pronto a rivalutare la verità del territorio. Una strada questa seguita non solo dai piccoli ma anche delle grandi cantine, quella del voler necessariamente presentare un bicchiere di territorio grazie ad un certo tipo di lavoro in vigna. Il futuro del Cirò è brillante perché il nostro è un vino di luogo, riconoscibile e con caratteristiche uniche. Mi preoccupano però i rincari dei materiali che necessariamente si ripercuotono sui prezzi finali. È aumentato tutto: dal vetro delle bottiglie ai pali di legno a supporto delle viti. Inoltre abbiamo l’emergenza dei cinghiali che invadono le nostre vigne facendo sparire l’uva, quest’anno farò pochissimo vino nonostante abbia lavorato sui miei 15 ettari ne raccoglierò come se ne avessi 2 di ettari. E’ importante essere uniti e avere il sostegno delle istituzioni regionali e nazionali.”

Cataldo Calabretta
Cataldo Calabretta

Cataldo Calabretta, produttore

L’Arciglione è il simbolo della sua azienda vinicola: per Cataldo Calabretta, produttore in Cirò, la manualità viene prima di ogni cosa. L’intreccio del lavoro umano che indirizza ogni filare e lo finalizza al risultato è l’essenza di una filosofia produttiva dove tutto converge verso l’equilibrio. “C’è un bel dualismo tra artigiani ed aziende, i primi più concentrati sull’interpretazione del territorio mentre le aziende di maggiore dimensione sono più orientate a seguire il mercato. I due soggetti dialogano costruendo un bel percorso – spiega Calabretta – un altro elemento estremamente importante nel nostro areale è la centralità del Cirò Rosato che coinvolge piccoli e grandi produttori. Questo mi piace molto perché si è tornati a fare il vino dell’arco ionico nato nel Palmento dalla tradizione mediterranea, quel Ruben dei romani che trova nel Gaglioppo una varietà che può considerarsi a pieno titolo massima esponente grazie all’intensità del tannino che si presenta anche nei rosati”.

“Altro argomento fondamentale sta nel paesaggio, il luogo dal quale tutto origina. Insieme alla centralità della tipologia il filo logico scorre indietro in maniera verticale e arriva dritto alla terra. “Il vigneto è il cuore pulsante della nostra comunità: il nostro è vino di terroir che conta 1.200 ettari vitati di Cirò Classico diffusi in 2 comuni con 50 cantine di vinificazione e oltre 500 aziende che lavorano tutte su un vitigno – osserva il produttore – la storica pratica viticola ha accelerato il processo di consolidamento. Fino a 15 anni fa c’erano quasi esclusivamente cantine grandi, uno sprint significativo è stato dato dalle nuove attività, tanti i giovani rientrati e ritornati alla terra ed è grazie a loro che abbiamo recuperato e costruito una nostra nuova idea di enologia con macerazioni più brevi, verso vini più essenziali e contemporanei”.

Christian Vumbaca
Christian Vumbaca

Christian Vumbaca, produttore 

La storia personale di Christian Vumbaca è una delle più belle – tra le tante – del Cirò. Avvocato di successo nella capitale a un certo punto sente che la toga e la capitale gli vanno strette. Lo risucchia un vortice chiamato Gaglioppo in un processo irreversibile che ormai lo vede come uno degli interpreti più moderni del Cirò.

“Il futuro è roseo per il Cirò che sta tornando ad essere grande, sia a livello nazionale che internazionale. Un segnale inequivocabile è, ad esempio, quello che arriva dai distributori nazionali che hanno a catalogo almeno un’etichetta di Cirò. Anche l’estero risponde bene, anzi benissimo con gli importatori internazionali che cercano rosato e rosso per i mercati degli Stati Uniti, Giappone, Germania, Canada dove peraltro c’è una comunità calabrese forte e numerosa ed Australia dove ultimamente ho venduto di recente una bella fornitura”.

Dopo anni di compressione e difficoltà l’orizzonte sembra schiarirsi. “La crescita è il fattore che riscontriamo in ogni ambito – puntualizza Vumbaca – è stato importante lasciare spazio al ricambio generazionale nelle grandi realtà vinicole ed  in contemporanea dare fiducia alle nascenti micro produzioni, tutti insieme formiamo una massa critica totalmente orientata alla qualità ed è molto bello così, sempre pronti al confronto e al dialogo. Capiamo che questa è la direzione giusta: le cantine non hanno problemi a finire le scorte. Sì, il futuro di Cirò è roseo”.

Raffaele Librandi

Raffaele Librandi, produttore e Presidente del Consorzio di tutela Vini Cirò e Melissa DOC

“Il Cirò è esploso in questi ultimi anni – afferma Raffaele Librandi con la duplice veste di produttore di una azienda strutturata nell’areale e figura istituzionale a capo del Consorzio di tutela Vini Cirò e Melissa DOC – in passato ricevevamo pochissima attenzione, ciò valeva in egual modo per il marchio e per i vini. Poi in una seconda fase caratterizzata dalle prime aziende che hanno cominciato ad etichettare, abbiamo ottenuto un certo interesse verso il nostro territorio. Le aziende hanno cominciato a veicolare il vino nei mercati e a fare un certo tipo di promozione con un’attenzione sempre maggiore alla qualità. Infine negli ultimi vent’anni sono fiorite tante aziende con diverse filosofie produttive: segno di un territorio molto dinamico e dedito alla coltivazione della vigna, talvolta non per forza finalizzata alla commercializzazione. Anche se le difficoltà sono sempre maggiori come si desume dai prezzi delle uve negli ultimi 34 anni, in netta tendenza all’aumento. Sicuramente crediamo nella denominazione e comprendiamo che è di nicchia. Ci troviamo in una delle regioni enoiche che non è tra le più conosciute, bisogna fare un lavoro di inserimento capillare nei canali specializzati”.

Foto copertina Azienda Vinicola Librandi

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