Uliassi e Coppari dalla trattoria alle 3 stelle: il segreto? Intendersi senza parlare

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Mauro e Ivano raccontano la loro cucina fatta di umiltà, meriti condivisi come in famiglia e vini conservati in grotta sotto casa

di Alessandra Meldolesi 

Erano passati appena tre mesi dall’apertura, nel lontano dicembre 1990, quando Ivano Coppari ha varcato per la prima volta la soglia del ristorante Uliassi, sulla spiaggia di Velluto di Sinigallia. “Troppo tempo”, scherza. Quel che ne è seguito, al pari di tutta la crew, è una narrazione di umiltà e di passione, sbocciata in un miracolo gastronomico collegiale e senza padrini, che ha portato sommelier e chef del ristorante omonimo, fino alla consacrazione delle tre stelle e alla scalata delle classifiche mondiali. “Ivano è come me, Catia e Mauretto Paolini. Famiglia. Siamo cresciuti qui dentro. Le nostre fortune sono condivise”, attacca Uliassi. “Me lo ricordo bene il primo giorno: io stavo lì a verniciare il muro, è arrivato questo lombardone alto e mi ha detto: ‘So che cerchi un cameriere’. Ho risposto di sì. ‘Beh, io potrei essere disponibile. Ho lavorato un po’ di qua, un po’ di là, poi sono stato in Germania’. Parlava anche il tedesco e gli ho detto che non c’era problema. Subito si è creata una grande unione”.

Coppari: Sono stato in prova da dicembre fino a febbraio, poi praticamente non ci siamo più parlati, tale era l’intesa. Alla scuola alberghiera avevo già fatto un corso da sommelier, poi mi è sempre piaciuto, avevo gestito un bar e sono andato avanti.

Uliassi: Direi che si è adattato alle nostre esigenze. Quando avevamo una trattoria da 200 coperti al giorno, si arrangiava con 3 frigoriferi e 15 etichette. Con la prima stella i vini sono aumentati, con la seconda ancora di più e abbiamo fatto qualche frigorifero apposta. Ma qui non c’è spazio per la cantina, tranne quella del giorno. I vini si trovano sotto casa di mia sorella Catia, che ha le grotte.

Coppari: Quindi ho vissuto tutta la storia del ristorante, che è partito da zero, come una piccola capanna. Avevamo un unico vino, alla spina; poi sono arrivati quelli “fighi”, il Galestro, Jermann, Felluga.

Uliassi: E ha partecipato alla crescita in tutti i sensi, perché ha verniciato, ha segato, ha scialbato il muro con la cazzuola, ha tolto la neve sul tetto, sennò pioveva dentro.

Coppari: Poi c’è la cosa bella che chiudiamo tre mesi l’anno e ogni volta che riapriamo, è come un ristorante nuovo, quindi non ti annoi mai. Non diventa una routine.

Uliassi: Lavorare nove mesi l’anno è stata una grande scelta, in anticipo sui tempi.

Coppari: Così abbiamo la possibilità di fare formazione, studiare i nostri vini e i nostri piatti. La carta l’ho sempre fatta insieme a Catia, con cui condivido ogni scelta.

Uliassi: Noi sapevamo le nostre esigenze, come stava cambiando la clientela e quali erano gli obiettivi che ci ponevamo ogni anno. Poi magari consultavamo qualche esperto e alla fine lui e Catia gestivano il tutto. Fino a un certo punto si sedevano insieme per degustare i nuovi vini, cosa che pian piano è sempre più appannaggio di Ivano.

Coppari: Dico a Catia quello che prendo, poi lei vede, condivide eccetera.

Uliassi: Dobbiamo essere sempre in comunicazione, perché la cantina è anche un bene materiale, che deve essere in equilibrio col resto. Quindi diciamo a Ivano quanto può comprare e che budget ha.

Coppari: Ora abbiamo un migliaio di etichette, a fine stagione settecento.

Uliassi: Troppe. Dico sempre: Ivano, meno roba! Ma abbiamo vissuto la crescita del territorio in pieno. Quando abbiamo aperto, se facevi il nome di Bucci, era come Gesù Cristo. Perché è una persona di una cultura e di un prestigio unico. Di quello spessore non so quanti ce ne sono.

Coppari: Qualcuno dice che è calato, ma non è così. Sono gli altri che sono cresciuti. Noi attualmente abbiamo due menu e per ciascuno due pairing: vini italiani e dal mondo. Qualcosa varia, perché c’è sempre quello che non ama i vini naturali, non vuole la bollicina o magari preferisce non bere marchigiano, visto che è di qua. Noi studiamo una certa tipologia di vino insieme al piatto e poi vediamo.

Uliassi: Ivano ha capito benissimo lo stile che abbiamo, quindi come devono essere fatti gli abbinamenti. Su un menu di 10 portate mette 5 calici, perché uno a piatto sarebbe un errore marchiano, stuferebbe.

Coppari: Ho visto che è il ritmo giusto, il calice finisce che l’ospite beva un po’ di più o un po’ di meno. In questo modo cerchiamo di tenere il palato pulito e pronto per andare avanti.

Uliassi: Ma non è vero che Ivano non ha tempo, perché partecipa alla degustazione del Lab con due settimane di anticipo. Rappresenta il primo feedback sul menu, perché magari in cucina siamo tutti convinti, ma la sala storce il naso. Allora diventa un problema, bisogna capire cosa non è piaciuto e rimetterci le mani. Quando esce, il menu deve avere il gradimento di tutti. Quindi lui assaggiando i piatti e la sequenza, può formarsi un’idea.

Coppari: Poi quando fanno le prove in cucina, io spesso sono presente perché arrivano i vini, gestisco la cantina, quindi assaggio via via. E gli abbinamenti li sottopongo a Catia.

Uliassi: Io non controllo più niente, perché ho avuto dei feedback. Oggi abbiamo strumenti che ci danno un riscontro del 95%. I complimenti arrivano anche per l’abbinamento e ci basta.

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Saltimbocca di quaglia alla senigalliese
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Alessandra Meldolesi

Nata a Perugia, Alessandra Meldolesi dopo gli studi e uno stage alla Comunità Europea ha scelto la cucina, diplomandosi alla scuola Lenôtre di Parigi e lavorando brevemente come cuoca presso ristoranti stellati. È sommelier, autrice di numerosi libri, traduttrice e giornalista specializzata da oltre vent'anni.

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