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Alessandro Tomberli

Il direttore Alessandro Tomberli ci racconta l’Enoteca Pinchiorri, tre stelle Michelin e una cantina tra le più famose al mondo. “Aneddoti? Potrei scrivere un libro, ma poi mi toccherebbe girare con la scorta!”

Tempo di lettura: 6 minuti

Un sodalizio lungo una vita quello di Alessandro Tomberli con i proprietari Giorgio Pinchiorri e Annie Féolde. Ha iniziato pulendo i posacenere una quarantina di anni fa e oggi è il direttore. La leggendaria, monumentale cantina del ristorante custodisce bottiglie inestimabili, in alcuni casi dei veri e propri pezzi unici. 

di Maddalena Peruzzi

È il 1972 quando il giovane Sommelier Giorgio Pinchiorri acquista quella che all’epoca era l’Enoteca Nazionale, in centro al Firenze, all’interno dello storico palazzo Jacometti-Ciofi di Via Ghibellina 87. Nasce così l’Enoteca Pinchiorri, una vineria che poi diventa ristorante, con Annie Féolde ai fornelli. Insomma, cantina e cucina si prendono per mano. Il resto è storia. E che storia! Dal 2004 il ristorante ha le tre stelle Michelin e da quarant’anni anni consecutivi vanta il prestigioso Grand Award di Wine Spectator. Oggi lo chef è Riccardo Monco che già da molti anni ha raccolto il testimone di Annie. Per quanto riguarda la cantina, Tomberli e la sua squadra di sommelier continuano il lavoro iniziato cinquant’anni fa da Pinchiorri, il quale, comunque, non ha mai smesso di supervisionare…

C’era una volta, tanto tempo fa, una vineria…

Proprio così. All’inizio l’Enoteca era quello che oggi chiameremmo un “wine bar” dove Pinchiorri stappava e serviva al bicchiere i grandi vini che amava e che andava a cercare in giro per il mondo. La gente qui beveva Sassicaia quando era ancora un vino da tavola che nessuno conosceva. Ti dico solo che quando sono arrivato io, nel 1984, come vino da dessert al bicchiere c’era un certo Château d’Yquem. Pinchiorri è stato un pioniere.

Come sei arrivato all’Enoteca Pinchiorri?

Era il mio sogno perché passavo sempre qui davanti con il tram per andare a scuola. Ho iniziato pulendo i posacenere, avevo 17 anni. Lavorando qui mi sono appassionato al vino, anche grazie a Pinchiorri che mi ha preso sottobraccio e mi ha insegnato tantissimo. Trascorrevamo ogni pomeriggio insieme in cantina a mettere in ordine le bottiglie e lui mi raccontava tutto di quei vini.

Enoteca Pinchiorri_cantina brd

Oggi Pinchiorri si occupa ancora della cantina?

Non ha mai smesso di farlo. Partecipa, si interessa, anche se ovviamente io e il team di sommelier ci mettiamo del nostro. Facciamo ricerca quotidianamente, i sommelier viaggiano molto, degustano e portano i campioni in Enoteca: poi li assaggiamo anonimi e decidiamo se inserirli in carta. Quando un vino supera l’esame, per il sommelier che l’ha proposto è una grande soddisfazione.

La carta vini dell’Enoteca Pinchiorri è considerata una delle migliori al mondo. Perché? 

Perché Pinchiorri è un visionario e perché la sua carta è nata cinquant’anni fa. Oggi sarebbe impossibile crearla da zero. C’è molta più richiesta ed è più difficile reperire i vini: questo ha determinato un aumento spaventoso dei prezzi. La nostra forza è quella di avere delle assegnazioni dirette da certi produttori da tantissimi anni, per cui anche se diminuiscono le quantità, abbiamo comunque la certezza di avere i vini. 

Il fatto che la carta abbia mezzo secolo spiega anche la sua grande profondità… 

Esatto, Pinchiorri è stato uno dei primi a cambiare atteggiamento rispetto alle annate. All’epoca si consumava l’annata corrente e poi si proseguiva con quella nuova, semplicemente. Invece lui amava mettere da parte alcune bottiglie, non le vendeva tutte. E poi metteva in carta più annate dello stesso vino. Ecco perché di molti vini abbiamo uno storico importante. Alcune bottiglie hanno acquisito un valore immenso nel tempo e adesso sono pezzi unici.

Per esempio? Puoi dirmi qualche bottiglia introvabile che avete ancora in cantina?

  • Châteauneuf du Pape 1978, Château Rayas: “Monsieur Reynaud è quello che si può definire un genio, un gentleman prestato alla campagna. Nel sud del Rodano, con vigneti esposti a nord e terreni sabbiosi riesce a produrre un vino straordinario. Non ha importatori o distributori, ne produce pochissimo, le rese per ettaro sono irrisorie, paragonabili a Château d’Yquem. Leggenda”.
  • Musigny 2015, Leroy: “Madame Lalou Bize-Leroy ha compiuto 90 anni, ma va ancora in vigna. La “Regina di Borgogna”, così denominata, fu battezzata con gocce di Musigny del ’29: era una predestinata. Del suo Musigny 2015 ha prodotto in tutto 617 bottiglie, in Italia ne sono arrivate tre. Un vino più unico che raro, oltre che, di fatto, il vino più caro al mondo”. 
  • Vosne Romanée Cros Parantoux 1985, Henri Jayer: “Se Madame Leroy è la “Regina”, Henri Jayer è il “Re di Borgogna”. Illuminato, precursore e geniale nelle scelte, come quando volle comprare quel terreno, in alto, al freddo, il Cros Parantoux. I vicini lo sconsigliavano: “È un campo da carciofi”. Oggi il suo Cros Parantoux è per i vigneron come una nave scuola per la Marina”.
  • Montrachet 2016 L’Exceptionelle Vendage Des Sept Domaines: “Nel 2016 grandine e intemperie distruggono il vigneto di Montrachet (7 ettari circa). Dominique Lafon propone qualcosa di unico, di mettere insieme le uve di sette Domaines diversi: 822 kg di uva totali. Ne risultano 683 bottiglie e ne vengono vendute meno di 600 a clienti affezionati. Ogni bottiglia porta il nome dell’acquirente, sulla nostra c’è scritto “Giorgio Pinchiorri”. 
  • Malvoisie De La Cure de Nus: “Augusto Pramotton era il parroco di Nus, in Valle d’Aosta, aveva una vigna accanto alla chiesa e produceva il suo vino. Per averlo dovevi andare a messa, ascoltare la sua omelia, e poi, magari, te ne dava una bottiglia. Giorgio Pinchiorri ne ha fatti di viaggi! Quella del 1980 è stata l’ultima vendemmia perché poi Pramotton è andato in pensione e la vigna è stata espiantata”.
Enoteca Pinchiorri_bar

Torniamo alle annate storiche, oggi come le gestite?

Non le teniamo tutte, scegliamo le migliori. È un lavoro nel lavoro perché bisogna scegliere i vini non solo in orizzontale, ovvero quali etichette avere, ma anche in verticale, ovvero quali annate di quelle etichette tenere.

Quante referenze avete in carta? Qual è il criterio con cui scegliete i vini?

Oltre tremila. È molto fornita, ma non ci è mai interessato realizzare un’enciclopedia, mettere una bandierina su ogni regione vinicola del mondo. I vini che entrano nella nostra carta sono vini che ci piacciono e di cui conosciamo personalmente il produttore. Grandi nomi, aziende storiche, ma anche vini nuovi, sconosciuti.

In percentuale quanta Italia e quanto estero avete in carta?

55% Italia e 45% estero. Tanta Francia, poi California, Oregon Germania, Portogallo, Spagna, Ungheria, Repubblica Slovacca e molto altro. Niente ci vieta di aggiungere Paesi, ma prima dobbiamo andare là di persona. 

Che altri requisiti deve avere un vino per poter rientrare nella vostra carta?

Un vino deve essere venduto, per cui se ci impiego mezz’ora per venderlo e un’altra mezz’ora per farlo piacere al cliente…non ho interesse ad averlo in carta (Ride, ndr).

Per quanto riguarda le tipologie, ce n’è una che va per la maggiore? 

No, la cantina deve girare, non ci possono essere vini stanziali. Ovviamente fanno eccezione quelli da investimento che sono come pezzi d’antiquariato: stanno lì finché qualcuno li sceglie. Ma questo è un altro discorso. 

Offrite anche una mescita al calice?

Certamente, abbiamo sette diverse degustazioni per i menù: vini misti italiani e francesi, solo Borgogna, solo Italia, grandi vini ecc. Non sono abbinamenti “piatto per piatto”, sono dei percorsi, dei viaggi attraverso il vino. 

È più difficile una gestione di questo tipo? 

Ma il lavoro del sommelier è questo: accontentare tutti i clienti, vendere il più possibile e non lasciare mai le bottiglie aperte. Le bottiglie devono finire. È stimolante lavorare con un obiettivo, si crea anche una sana competizione tra colleghi.

Ma se rimane una bottiglia aperta…il sommelier ha il permesso di assaggiarla o per punizione rimane a secco? 

(Ride, ndr) Certo che può. Ha la possibilità di assaggiare dei vini che magari non avrebbe occasione di conoscere. Questa è formazione, cultura ed è anche un piacere. È il massimo quando il lavoro diventa anche un piacere. 

C’è un aneddoto o un fatto successo nel corso della tua lunga carriera che ricordi con piacere o che ti fa ancora ridere a distanza di anni?

Tantissimi! Potrei scrivere un libro…ma poi mi toccherebbe girare con la scorta come Saviano! (Ride, ndr)

Raccontacene uno solo…

Una volta uno dei sommelier, stappando una bottiglia di Château Mouton Rothschild del 1982, ha rotto il tappo e il cliente, a quel punto, non ha più voluto la bottiglia perché sosteneva che se un tappo si rompe il vino dentro non è buono. Attenzione: si era rotto il tappo, ma la bottiglia non era ancora aperta. Gli ho proposto di togliere l’altra metà di tappo e di assaggiare il vino, perché i tappi possono rompersi quando le bottiglie hanno molti anni, è normale. Non c’è stato niente da fare. 

E quindi cosa avete fatto con quella bottiglia?

Un bravo sommelier vende una bottiglia mezza aperta al tavolo accanto! (Ride, ndr)

Ti ricordi la bottiglia più pazzesca che hai stappato?

Me la ricordo eccome, anche se è successo tanti anni fa. Ma non l’ho stappata io. Il cliente mi ha chiesto di poterla aprire personalmente. Era uno Château d’Yquem 1893 (Sì, avete letto bene l’annata, ndr). Ho risposto: “Certo, però ne vorrei un bicchiere anch’io”. Così è stato.

E com’era?

Era straordinario, bottiglia perfetta.

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