Le famiglie e i giovani del vino, dentro e fuori la DOC.
di Valeria Lopis Rossi
Un cartello stradale anni ’70 segnala la presenza dei vigneti, l’unico in tutto il comprensorio etneo che non indica una cantina specifica o altra meta (eno)turistica ma semplicemente mostra la direzione per raggiungere genericamente “le vigne”. Per Biancavilla quella segnaletica è la traccia evidente di un massiccio trascorso enoico che già attirava bevitori da altri luoghi, viaggiatori vicini e lontani in cerca di vini buoni.
I biancavillesi più anziani descrivono questi giardini vitati come terrazzamenti fitti di varietali autoctoni, maritati con alberi di frutti endemici come le particolari pere coscia dal tipico rossore localizzato e le mele gelato cola dalle imperfette fattezze ma deliziose e croccanti.
Una biodiversità da eden che trova la sua forza nella luce che bacia il Sud-Ovest del vulcano con tramonti “tardivi” che si allungano fino a due ore solari in più rispetto agli altri versanti, tanto da erigere Biancavilla a “Terza Porta dell’Etna” quella del sole con un riconoscimento ufficiale ottenuto nel 2022 dalla città Metropolitana di Catania.
Arrivando si ha la sensazione di aver circumnavigato i circa 180 km del perimetro circolare dell’Etna, l’ultimo tratto della “C” rovesciata della DOC mostra una visione unica e ingigantita della montagna: è ancora l’effetto ottico della luce che gioca con la rifrazione del cocuzzolo sempre leggermente innevato, regalando quella che paesaggisticamente è la connessione più stretta ed intima tra vigne e cima del vulcano. Biancavilla è anche terra di confine dove cade l’ultima luce del giorno e si interrompe la denominazione. Cinque le contrade avvalorate come Unità Geografiche Aggiuntive: Maiorca, Torretta, Rapilli, Stella e Spadatrappo, citate nel disciplinare etneo.
La “Blanche ville” e la vocazione bianchista
Con una toponomastica dalle origini tanto incerte quanto suggestive, forse un omaggio alla regina Bianca di Navarra o più probabilmente un lascito lessicale dei primi abitanti greco-albanesi, la “Blanche Ville” annuncia la vocazione bianchista di questa porzione di territorio con un nome inneggiante al chiarore e alla luminosità. La consapevolezza enoica è tornata a galla da poco, sommersa negli ultimi anni da investimenti agricoli più immediati e prolifici come gli ulivi e il ficodindia, tipiche colture biancavillesi apprezzate nel mondo per le riconoscibili qualità organolettiche. L’onda lunga del fermento vitivinicolo etneo in questi anni ha travolto tutti i versanti – complessivamente sono circa 1.200 gli ettari vitati del vulcano – che in una sorta di un movimento orario ha investito prima il Nord, si è poi concentrato allo sviluppo dell’Est e ora punta a Sud-Sud Ovest con un rilancio di storiche cantine e nuove realtà, tutte incentrate su un virtuoso modello artigianale su base familiare. Non è raro imbattersi in vigneti prefillosserici e a piede franco con alberelli che hanno raggiunto dimensioni e forme che sembrano scolpite; la media alta delle età degli impianti significano spesso rese basse poco premianti da un punto di vista quantitativo che però giocano a favore del valore finale del vino. Complici le peculiari condizioni pedoclimatiche figlie degli incroci delle correnti che circolano tra gli impervi canyon dei valloni, e i variegati suoli che qui confluiscono in una stratificazione singolare che culmina con ceneri e pomici rosse alle quali si aggiunge l’unicità dell’ignimbrite di Montalto, il deposito lavico risalente all’era del pleistocene, Biancavilla non cela la sua anima vulcanica e la rivendica a suon di eruzioni e sismicità frequenti, due fattori che influenzano l’umanità e vino con l’attitudine a manifestare una certa mutevolezza.
Le famiglie e i giovani del vino, dentro e fuori la DOC
Tolta l’hobbistica e la produzione propria ad uso domestico che ancora persistono grazie ad un retaggio di civiltà contadina orientato all’autosufficienza, le cantine attive su Biancavilla sono essenzialmente imprese di famiglia e storie di giovani che ritornano alla terra. La spaccatura geografica della DOC, particolarmente tangibile in questo comune con intere contrade fuori denominazione, è una convenzione che funziona su carta ma che non si imprime sui vini che rimangono appartenenti territorialmente al versante della luce riflettendone il tono dinamico, pulsante, quasi accelerato di questo lato del vulcano. Una larga eterogeneità produttiva che si traduce sostanzialmente in bianchi tesi e rossi di struttura, uniti da quella matrice vulcanica comune per eleganza, finezza e mineralità. Esordienti e già interessanti per scelte non convenzionali delle giovani realtà fuori DOC de Le Due Tenute, Terrafusa, Tenuta del Vallone Rosso e il neo arrivato Domenico Mancuso di Pietrardita che hanno ripreso la viticoltura eroica tra altitudini e pendenze estreme. Dentro la DOC ricade la continuità con lo storico più antico che si deve alla pioniera Masseria Setteporte di proprietà della famiglia Portale, insieme ad un’altra realtà d’esperienza che è Terre di Montalto dei fratelli D’Asero, riuniti tutti in unico clan produttivo con cantina propria. Tratto comune per tutti la devozione agli autoctoni Carricante e Nerello Mascalese, eccetto per Podere dell’Etna Segreta, una microrealtà che è insieme ristorazione a conduzione familiare e cantina guidata da Mario Grasso che ha deciso di coltivare gli alloctoni Grignolino e Barbera esaltando il profilo montano dell’Etna, a dimostrazione della vitalità del vulcano che interagisce in modo percettibile con ogni specie vegetale imprimendovi uno speciale carattere “lavico”.
Etna Wine Forum
Nato da appena un anno, Etna Wine Forum è l’appuntamento per conoscere da vicino i produttori di Biancavilla. Un focus inclusivo che si articola in masterclass, tasting liberi e incontri con i vignaioli locali. Dal 29 settembre al 1°ottobre, dettagli di programma sul sito.