Pietro Paolo e Claudia, nel loro ristorante in zona Corso Sempione, respirano profumi di Sardegna tra piatti e bottiglie, “ma abbiamo molta inventiva. Tutto ciò che offriamo lo abbiamo prima testato e assaggiato in prima persona”. Con Rivera e il Milan “la stretta di mano avvenne a tavola”
di Luca Serafini
“Giocavo per le strade di Cagliari per ore e ore, pomeriggi interi. Ci eravamo trasferiti da Sindia, ero piccolo e le mie tre sorelle facevano altro. Poi mi iscrissi alla Juvenilia dove iniziai i primi passi verso il professionismo”. È davanti a un buon bicchiere di rosso che Pietro Paolo Virdis racconta la sua vita, prima da stella del calcio e da 20 anni ristoratore “stellato” dagli amici, perché il suo piccolo ristorante “Il gusto di Virdis” in Via Piero della Francesca, a Milano, conta 18 posti a sedere “se ci stringiamo”. Un po’ come stare a casa. “Mi presero i Vigili Urbani del capoluogo che avevano una squadra in prima categoria, gli juniores, gli allievi, erano molto bene organizzati e strutturati, fin quando sbarcai in quarta serie alla Nuorese. Fu lì che mi notò il Cagliari: per prendermi, organizzarono un’amichevole. Quel Cagliari-Nuorese finì 2-2, doppiette di Gigi Riva e mia, così finalmente indossai la maglia rossoblù”. Da allora scattarono le statistiche straordinarie di un talento unico, elegante, preciso e raffinato fuori dall’area di rigore, spietato invece in quel rettangolo dove si trasformava in un segugio del gol, inseguito con punta o ginocchio, testa o piatto, in acrobazia o di precisione. Numeri da campione: nella Nuorese 25 partite e 11 gol, nel Cagliari 97-29, nella Juventus 75-17, nell’Udinese 45-12 fino al periodo più radioso con la maglia rossonera del Milan, 135-54. Ha vinto 2 scudetti con la Juventus, e una Coppa Italia, e 1 con il Milan, più una Supercoppa italiana e una Coppa dei campioni, è stato capocannoniere della serie A nel 1987 con 17 reti. “Quando ho smesso di giocare ho provato a fare l’allenatore, ma evidentemente non era per me: Catania, Viterbese e Nocerina, poi ho preferito fare l’opinionista in televisione”. Nel frattempo, però cresceva il desiderio di fare qualcosa con la moglie Claudia, grande cuoca, regina di cene e incontri con gli amici.
A casa Virdis, appunto. “Continuavano a chiederci “ma perché non aprite un ristorante? Già, sembra facile”, sorride Claudia. “Abbiamo sempre viaggiato molto e assaggiavamo, provavamo, cercavamo… Poi a casa mi cimentavo nel cucinare e riproporre quello che conoscevamo in giro. Quindi feci un corso di una settimana da Aimo e Nadia, a mio avviso due eccellenze superlative, poi aprimmo”.
“Non fu subito ristorazione”, spiega Pietro Paolo: “Nel 2003 aprimmo come negozio, una rivendita dove organizzavamo aperitivi e assaggini, preparavamo cesti natalizi, aziendali, confezioni regalo con vini e prodotti tipici. Dopo la crisi dei subprime, per le conseguenze che aveva determinato, decidemmo di trasformarci in una piccola locanda, all’interno dello stesso locale”. La filosofia è molto precisa: Claudia ai fornelli e Pietro al bancone, tra vino, ordini e pubbliche relazioni: “Mia moglie è molto creativa, inventa i primi, si sbizzarrisce con carne e pesce. Certo, i sapori sardi hanno un posto particolare nel menu, salumi, formaggi, bottarga, ma in realtà ogni giorno proponiamo cose nuove. Ultimamente ha spopolato con la buzzonaglia, la pasta che comprende le lavorazioni del tonno”. “Tutto ciò che cucino è testato, assaggiato, provato” – assicura Claudia- esattamente come fa Pietro con i vini. Ho lo stesso fornitore di bottarga dal primo giorno in cui abbiamo aperto, prima il negozio poi il ristorante. Sulla scia di quell’esperienza con Aimo e Diana, fino a prima del Covid organizzavo le settimane dedicate, una 6 giorni di baccalà, di bottarga, di pesce… Adesso cambiamo giorno per giorno”.
La vocazione enoculinaria di Virdis ha radici lontane: “Ero affascinato sin da giovane, ma da calciatore ero molto, molto morigerato. Lunedì e martedì un mezzo bicchiere in più, poi stop. Mi occupo dei vini perché è sempre stata la mia grande passione: assaggiare, approfondire, conoscere, provare. Mi sono fatto una cultura. In cantina propongo soprattutto prodotti della Sardegna: chicche, ma sempre con una base dei vini che ho portato avanti per anni come quelli delle cantine di Santadi, di Argiolas. Non ho una predilezione per il rosso o per il bianco, mi attraggono i sapori, le fragranze, gli abbinamenti”. Una delle grandi svolte della sua vita, forse la più grande, avvenne a tavola: “In verità un accordo sulla parola già lo avevamo, c’era stato un abboccamento quando ero a Udine, ma con Gianni Rivera e il Milan la stretta di mano avvenne in un ristorantino vicino alla sede del club, in via Turati. Ero andato da Torino a Udine perché c’era un grande progetto, suggellato dall’arrivo di Zico, ma mi resi conto che non sarebbero riusciti – alla lunga – a concretizzare quello che avevano in testa i dirigenti, quindi accettai la proposta dei rossoneri che mi dava la possibilità di tornare ad alti livelli”. Claudia era già parte stabile del suo cuore, della sua vita: il papà di Fiume, la mamma di Montebelluna, erano scappati a Torino nel Dopoguerra e lì si erano incontrati ai tempi della Juventus. Ma è a Milano che si sono stabiliti: “È una città che ci ha trasmesso amore, amicizia, dove dopo tanti giri abbiamo deciso di stabilirci e dove i miei figli Matteo e Benedetta sono cresciuti. Lui è medico, lei è ancora al liceo”.
A proposito di figli, di giovani: la nuova tendenza è low/no alcol, cosa ne pensa Virdis?
“Non lo so, forse c’è più attenzione per la salute, per la morigeratezza, però ti confesso che quando da me vengono in gruppo, tendono a esagerare. Solo uno o due si mantengono lucidi, probabilmente perché poi devono guidare… Secondo me ci vuole equilibrio in tutte le cose”. Chiudersi in un ristorante dopo un’esistenza nomade, tra l’Italia del sud e quella del nord, è un po’ strano, “ma il lavoro ci piace, ci ha dato tanto.
Ci riconoscono l’impegno, ci vogliono bene. Vengono spesso alcuni vecchi compagni di squadra: Filippo e Giovanni Galli, Chicco Evani, giornalisti, tifosi… Il mio cuore è diviso tra Cagliari e Milan, anche se a livelli diversi. Una volta il presidente Giulini, proprietario del club sardo, mi ha invitato a San Siro a vedere la sfida di Coppa Italia contro i rossoneri. È stata una serata complicatissima. Vinse il Milan, io riuscii ad avere un atteggiamento compassato, ma non lo rifarei mai più: troppa sofferenza”.