I consumatori prediligono il prodotto nostrano anche a costo di pagarlo di più, ma la scelta del brand vince spesso sulla voglia di informarsi
di Paolo Caruso
L’obbligo di indicare la provenienza del grano nelle etichette della pasta, partito nel 2018, ha rappresentato un vero e proprio spartiacque nelle strategie dei principali player nostrani.
Improvvisamente il mantra della presunta superiorità qualitativa del grano estero, declamato dai maggiori pastifici industriali italiani, ha ceduto il passo ad una narrazione che ostenta il patriottismo, come se fosse dettata da un Lollobrigida qualunque.
L’aumentata voglia di informarsi dei consumatori sommata alla disponibilità di notizie che la rete regala (al netto delle fonti più o meno attendibili), ha creato una nutrita platea di utenti sempre più attenti alla provenienza della materia prima, che viene associata spesso ad aspetti qualitativi e salutistici (Canada/Glifosato docet).
Ed è proprio sul comportamento dei consumatori rispetto alle scelte di acquisto che riguardano la pasta che si è concentrata una ricerca dal titolo “Consumers bahavior towards the country of origin labeling policy: the case of the pasta” (Boncinelli et al., 2023)
Questo studio contribuisce al dibattito che ha seguito l’introduzione dell’etichettatura COO (country origin) obbligatoria per il grano nel mercato italiano della pasta, fornendo evidenza empirica dell’effetto di questa politica sui consumi.
I risultati dello studio rivelano che gli acquirenti di pasta mostrano un grande sostegno a favore della normativa italiana sull’etichettatura di origine del grano obbligatoria.
Lo stesso discorso non si può affermare per molti grandi produttori i quali, accampando motivazioni molto originali se non fantasiose, hanno inoltrato un ricorso al TAR (fortunatamente respinto) pretendendo di non indicare in etichetta il Paese di coltivazione del grano e di molitura delle farine utilizzate nella pastasciutta (troverete l’elenco di queste ditte in calce all’articolo*).
Inoltre l’esito della pubblicazione indica che il luogo di origine del grano segnalato in etichetta è uno dei principali traini (anche se non il maggiore, purtroppo) nella scelta della pasta e che i consumatori sono disposti a pagare un sovrapprezzo per la pasta fatta con grano italiano.
A questo riguardo il dato che ci ha più sorpreso riguarda la motivazione che giustificherebbe il prezzo maggiorato della pasta. Ci saremmo aspettati che questo ulteriore esborso venisse affrontato in virtù delle migliori qualità nutrizionali e salutistiche o grazie a una maggiore sostenibilità ambientale della pasta fatta con grano locale, invece questa premialità verrebbe imputata alla volontà di sostenere gli agricoltori e l’agricoltura nostrana.
In generale, i risultati dell’indagine sottolineano che i consumatori italiani dimostrano un ottimo grado di consapevolezza riguardo l’equità nei rapporti tra produttori di grano, rivenditori e trasformatori, ritenendo che gli agricoltori siano i più svantaggiati all’interno di questo sistema.
Allo stesso tempo, i risultati della ricerca mostrano che per contrastare il trattamento ingiusto degli agricoltori della filiera, gli intervistati sono disposti a sostenerli anche con fondi pubblici, manifestando un elevato grado di sostegno alle politiche che mirano a favorire l’agricoltura e le comunità rurali.
Gli autori della ricerca si chiedono, senza avere risposte univoche, se la combinazione tra l’etichettatura obbligatoria e la predisposizione all’acquisto possa riequilibrare in qualche modo il potere contrattuale dal lato degli agricoltori italiani, che mai come in questo periodo stanno patendo difficoltà di ogni tipo.
Questo interrogativo è di fatto gravato dal percepito legato all’aumento del prezzo della pasta, che ha spesso un impatto negativo sulle fasce economicamente deboli della popolazione, considerando che questo alimento è largamente consumato dalle famiglie italiane, fornendo l’apporto calorico più consistente nella dieta quotidiana.
Per ovviare a questa criticità occorrerebbe una forte e diffusa operazione di informazione e di coinvolgimento, atta a far comprendere che un surplus di costo è il prezzo che si deve pagare per mantenere in vita un comparto produttivo essenziale per la nostra sicurezza alimentare e salute.
Ma chi dovrebbe finanziare questa operazione?
Lo studio dimostra che l’acquisto di pasta è ancora fortemente legato al brand, indipendentemente dalla provenienza della materia prima utilizzata e dai metodi di lavorazione adottati. Sperare che i grandi pastifici informino sulle qualità della pasta e sulla necessità di aiutare i produttori ci sembra utopistico. Serve quindi un movimento che parta dal basso e che riesca a smuovere prassi di acquisto tanto consolidate quanto distorte.
Occorre che ciascuno di noi faccia la propria parte diffondendo l’idea che non possiamo fare a meno degli agricoltori italiani e che aiutarli è un imperativo categorico. Ne va della nostra e della loro salute e sopravvivenza.
* Pastifici: F.lli De Cecco di Filippo Fara San Martino, Barilla G. e R. Fratelli, De Matteis Agroalimentare, La Molisana, F. Divella, Rummo, Pastificio Lucio Garofalo, Pastificio Battagello, Pasta Berruto, Colussi, Pastificio Rigo, Pasta Zara, Pastificio Felicetti, Pastificio Granarolo.
Mulini: Molitoria Umbra S.r.l., Semoliere Giuseppe Sacco & Figli S.r.l., Molino Grassi S.p.A., Molino Casillo S.p.A., Candeal Commercio S.r.l., Deis S.r.l. De Sortis Industrie Semoliere, Industria Molitoria Mininni S.r.l., Moderne Semolerie Italiane S.p.A., Industria Agroalimentare De Vita S.r.l., Grandi Molini Italiani S.p.A., Semolificio Loiudice S.r.l., Molino S. Paolo di Paolo Gallo & C. S.p.A.
Paolo Caruso
Creatore del progetto di comunicazione "Foodiverso" (Instagram, LinkedIn, Facebook), Paolo Caruso è agronomo, consulente per il "Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente" dell'Università di Catania e consulente di numerose aziende agroalimentari. È considerato uno dei maggiori esperti di agrobiodiversità