Quello ritrovato (ancora liquido) in Spagna in un’urna funeraria, ha 2000 anni, ma nel 2017 qualcuno scrisse che il record è 6000 anni e lo detiene un prodotto italiano, scoperto in una giara nei pressi di Agrigento
di Luca Serafini
Battuta dall’ANSA e ripresa da tutte le maggiori testate giornalistiche, la notizia di questi giorni circa la scoperta del “vino più antico del mondo” (così hanno scritto e detto in molti) e che avrebbe festeggiato i 2000 anni di vita. Dopo tutto questo tempo, è ancora liquido ed era contenuto in un’urna funeraria, insieme con un anello d’oro, i resti di un antico romano e di altri suoi 5 familiari (due donne e tre uomini) sepolti nella necropoli di Carmona, in Spagna. Lo studio dei reperti è pubblicato su ‘Journal of Archaeological Science: Reports’ dai ricercatori dell’Università di Cordova, i quali avrebbero appurato che si tratta di reperti risalenti al primo secolo dopo Cristo, dunque assai più datato di quello contenuto in una bottiglia trovata nel 1867 in Germania, che fu stabilito essere di 300 anni più giovane rispetto a quello di Carmona.
“All’inizio siamo rimasti molto sorpresi che in una delle urne funerarie fosse conservato del liquido”, spiega Juan Manuel Román, archeologo della città di Carmona. Riporta “Dagospia” che “per accertare che quel liquido rossastro fosse realmente vino, e non il risultato di sversamenti o processi di condensazione, i ricercatori hanno condotto una serie di analisi chimiche per determinarne il pH, la presenza di materia organica, sali minerali e sostanze derivate dai resti del deceduto o dalla stessa urna di vetro”.
I risultati dimostrano che il liquido è vino, contenente sette particolari polifenoli che sono presenti anche in vini moderni dell’Andalusia. L’assenza di un polifenolo chiamato acido siringico lascia supporre che si trattasse di un vino bianco, che col passare del tempo ha poi assunto una colorazione rossastra. Resta difficile stabilire la sua origine geografica, anche se al suo interno sono stati identificati dei sali minerali presenti anche nei vini bianchi attualmente prodotti nei territori che un tempo appartenevano all’antica provincia romana denominata Betica.
Gli archeologi hanno trovato anche un’altra urna con i resti di una donna. Nel contenitore non è presente neppure una goccia di vino, bensì tre gioielli in ambra, una bottiglietta di profumo con sentori di patchouli e i resti di alcuni tessuti, realizzati probabilmente in seta. Un simile corredo funebre sottolinea l’importanza della famiglia cui era dedicato il mausoleo, realizzato lungo un’importante strada che collegava Carmona con la città di Hispalis, l’attuale Siviglia.
Ma la disputa sull’anagrafe di questi vini non è finita, anzi. Un articolo di Peppe Caridi del 25 agosto 2017 sosteneva che “il vino più antico del mondo abbia quasi 6.000 anni: i suoi residui sono stati individuati in una grande giara dell’Età del Rame rinvenuta in una grotta vicino Agrigento da un gruppo internazionale di ricerca, coordinato dall’archeologo Davide Tanasi dell’Università della Florida Meridionale, cui hanno preso parte anche il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Università di Catania e gli esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento. La scoperta, pubblicata su Microchemical Journal, dimostra che la viticoltura e la produzione di vino in Italia non sono cominciate nell’Età del Bronzo, come ipotizzato finora, ma oltre 2.000 anni prima. A confermarlo sono i residui chimici rimasti su una giara trovata in una grotta del Monte Kronio e risalente agli inizi del IV millennio avanti Cristo: la terracotta, non smaltata, ha conservato tracce di acido tartarico e del suo sale di sodio, sostanze che si trovano naturalmente negli acini d’uva e nel processo di vinificazione. E’ molto raro che si riesca a determinare la composizione esatta di tali residui, perché per farlo è necessario che il vasellame sia estratto completamente intatto. I ricercatori intendono ora continuare i loro studi per riuscire a stabilire se questo primo antichissimo vino italiano fosse rosso o bianco”.
Ora si apre un’altra disputa: quale sia il più buono. Quelle rinvenute in Sicilia, come detto, sono solo scorie, ma negli altri casi se esiste qualche volontario per una storica degustazione, credo che le iscrizioni siano ancora aperte…
Luca Serafini
Dal 1° febbraio 2024 direttore responsabile di Vendemmie, giornalista e scrittore, ha una lunga carriera televisiva alle spalle ed è tuttora opinionista sportivo tra i più apprezzati. Ha pubblicato saggi e romanzi, con “Il cuore di un uomo” (Rizzoli, 2022) ha vinto il premio letterario “Zanibelli Sanofi, la parola che cura”.