Mancano meno di 12 ore all’inizio della raccolta 2022 per la produttrice siciliana di Menfi. Con lei abbiamo parlato di cambiamenti climatici, di sostenibilità e di obiettivi personali
di Francesca Ciancio
23 vendemmie alle spalle, 17 da sola a Menfi, provincia di Agrigento, un pezzo di Sicilia che sa molto anche di Africa – che per latitudine infatti non è lontana – soprattutto per la calura estiva e per le temperature che si raggiungono in vigna. E non è solo questione di quest’estate rovente, ma sono anni che Marilena pubblica la foto del cruscotto della sua auto mentre guida verso i vigneti: la stanghetta segna spesso 45°C gradi. Domani inizia la vendemmia tra le 3 e le 3.30 del mattino. Per le 11 massimo si torna a casa: è impossibile pensare di stare sotto il sole un minuto di più. Un po’ di uva è già entrata in cantina ed è quella che serve per il pied de cuve.
Approfittiamo dell’apparente calma che precede l’inizio della raccolta per fare con lei due chiacchiere.
Facile citare Venditti e la sua “Notte prima degli esami”, ma come sta una viticoltrice la sera prima della raccolta?
Con l’ansia! Colpa soprattutto di questa annata comunque anomala anche per noi, con 40 gradi fissi dal 15 maggio a oggi e per la totale assenza di pioggia. In più quest’anno ho iniziato una sperimentazione con preparati omeopatici contro oidio e peronospora – che tra l’altro hanno funzionato benissimo – ma l’applicazione di un protocollo nuovo in un’annata così complicata non fa che aumentare l’ansia. Quindi si parte già con una bella dose di stanchezza addosso, ma so anche che, al momento giusto, sarò iper concentrata e iperattiva. Una stagione così porta a focalizzarsi di più sul metodo, a intercettare tutti i segnali che ti manda la vite e ti sembra di avere mille occhi e mille sensori. Il mio obiettivo principale è preservare la freschezza delle uve. Devo quindi lavorare in direzione di zuccheri non alti, farò attenzione alle macerazioni e all’estrazione, so già che avremo da gestire un tannino non morbido. E’ necessario che io sia più delicata della stagione, anche per non perdere i vantaggi che offrono le mie vigne, ovvero l’aspetto ventoso e quello salmastro.
Tanto caldo, zero acqua. C’è chi parla di annata eccezionale, forse per scongiurare l’idea che possa diventare la regola. Tu come e dove ti poni in questo dibattito?
La 2022 non è e non sarà un’eccezione. Anzi, diventerà la normalità e non mi aspetto alcun ridimensionamento del fenomeno. Al contrario, credo che stiamo assistendo ai primi colpi sferrati da una situazione che potrebbe anche complicarsi. Dovremo fare i conti con l’esistenza di due stagioni e non più di quattro, di piogge torrenziali seguite da periodi prolungati di siccità, di una bolla calda che già staziona sul Mediterraneo occidentale per tre mesi da diversi anni. Bisogna imparare a gestire questa “nuova normalità”. Come? Allargando i sesti di impianto, allungando le potature, ovvero lasciare più gemme sul tralcio fruttifero, non forzare le piante per ottenere più concentrazione, rispettare la chioma che ha il compito di ombreggiare il frutto. Ritornare a una selezione di varietà capaci di tollerare questo clima, preferendo quelle più precoci, internazionali e autoctone che siano. Il Nero D’Avola ad esempio si stressa molto, così come il Syrah, uve troppo delicate che vanno incontro a veloci disidratazioni dell’acido. La zona occidentale è più vocata per l’uva a bacca bianca e io lavoro bene con Inzolia, Grecanico, Grillo e Zibibbo. Per i rossi sto investendo da un po’ sul Perricone. Questo discorso vale anche per i vitigni alloctoni, ce ne sono di più resistenti, come lo Chardonnay, ma dico, se l’isola può contare su 108 tipologie di uve indigene, di cui la metà a bacca bianca, perché continuare a scimmiottare gli altri e non fare una sperimentazione seria su ciò che abbiamo solo noi?
Quali sono i vantaggi e le criticità di fare viticoltura in Sicilia?
Tra i vantaggi direi c’è la mancanza di grandine che, visti i disastri che fa altrove, non è cosa da poco! Tra gli svantaggi vi è di sicuro la mancanza di acqua, in parte compensata dall’umidità notturna generata dal mare. I miei vigneti che guardano la costa sono favoriti da questo fenomeno ed è l’unico fattore che per adesso ci sta salvando. Poi bisogna lavorare bene in vigna che tradotto vuol dire nutrire il suolo, non attraverso la concimazione, bensì attraverso la fertilità generata da un consorzio di microrganismi, attraverso la valorizzazione della rizosfera, ovvero quella combinazione di funghi e batteri che stimola la crescita della pianta. Solo in questo modo le piante resistono a periodi di siccità prolungata. La Sicilia poi può vantare un ambiente dal punto di vista sanitario perfetto, non abbiamo grossi problemi di malattia. Qui è facilissimo fare agricoltura biologica e sarebbe altrettanto interessante – anche se meno semplice – dedicarsi all’agricoltura biodinamica. Ecco perché mi stupisco del fatto che certe pratiche non siano la norma. Invece sono ancora troppe le realtà viticole che prendono delle “scorciatoie”.
Essere agricoltori, ancora prima che viticoltori. La sensibilità per l’ambiente intorno al vigneto, a tuo parere, va crescendo?
Non può esistere viticoltura senza un approccio olistico. Non puoi focalizzarti solo sul prodotto e sulla resa del tuo lavoro in campo. L’agricoltura è – deve essere – molto altro: cultura, socialità, etica, deve assumersi delle responsabilità nei confronti del suolo, dell’acqua, della risorsa cibo, nei confronti delle persone che lavorano. Tutte cose che quella che io chiamo agroindustria non fa perché è focalizzata sulla materia prima, cercando di massimizzare la produzione, pagando poco le uve ai conferitori e portando sul mercato vini che costano poco. Non a caso in Sicilia, come altrove, rimane ancora tanto vino che non finisce in bottiglia. Prendiamo il tema della sostenibilità, non c’è azienda che non l’abbia fatto suo. E’ reale consapevolezza o è greenwashing? Non ho una risposta certa. Di vero però c’è che un parametro ci sarebbe ed è quello di valutare la crescita del vigneto in biologico, che è la condizione basilare di un percorso che poi può portare a una riduzione del peso delle bottiglie di vetro, alla riduzione di emissioni, a contratti di lavoro più etici. Tutto giusto, ma innanzitutto devi adottare un protocollo di coltivazione biologico al cento per cento. Sennò il resto sono chiacchiere.
Stando alle prime stime vendemmiali, l’Italia potrebbe di nuovo piazzarsi prima nella classifica della produzione di uva. Si parla di 45 milioni di ettolitri. Che valore dai a queste cifre?
Penso che ci sia davvero troppo vino inutile in giro! Se fossero 45 milioni di ettolitri spettacolari sarei la prima a festeggiare, ma così non è. Il vino di qualità è il vino non manipolato per me, cioè quello che nasce da un’agricoltura rispettosa, che non inquina, che non ricorre a venti trattamenti sistemici, che paga le uve a un giusto prezzo. Quanto vino di questi 45 milioni di ettolitri è fatto così?
Foto copertina di Irene Colletti