Giulia Di Cosimo, dall’eredità Bonollo alle vigne: “La sostenibilità è una colonna, non l’architettura, al centro ci siano l’umanità del vino e la comunità che lo vive”

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La giovane vignaiola alla guida di Argillae si racconta con sua “missione impossibile”: riportare l’Orvieto a essere un vino moderno, fresco e desiderato

di Camilla Rocca

Produttrice e vicepresidente del Consorzio Vini di Orvieto, Giulia Di Cosimo è viticoltrice e proprietaria di Argillae, cantina di Allerona, situata a 20 km circa a nord di Orvieto. Discendente di una nota famiglia di distillatori, dopo la laurea in Economia Aziendale e Management all’università Bocconi di Milano e un master presso la SDA, Giulia decide di trasferirsi in Umbria per dare un nuovo impulso all’azienda vinicola fondata dal nonno Giuseppe Bonollo. Con Argillae, Giulia unisce all’amore per il vino un’altra grande passione: quella per l’imprenditoria. Obiettivo ambizioso: fare di Argillae un punto di riferimento nel panorama enologico umbro puntando su qualità, unicità e sostenibilità. «L’argilla, che è la principale componente dei nostri terreni e ci identifica, tanto che abbiamo deciso di indossarla nel nome aziendale – racconta Giulia Di Cosimo – nutre le viti, donando la forza necessaria per produrre le uve di cui, una volta raccolte e rese mosto, sotto forma di anfora diventa contenitore e custode. Il cerchio, dunque, si chiude: tutto parte dalla terra e ad essa ritorna». Tutto questo si collega in maniera imprescindibile alla volontà di far crescere, valorizzare e promuovere l’Umbria del vino e il territorio di Orvieto.

Produttrice giovane ma dalle idee molto chiare che sta dando nuovo impulso al territorio, Giulia Di Cosimo guida una tenuta di 120 ettari caratterizzati da vigneti, uliveti e boschi, componente di grande valore per la salvaguardia della biodiversità, elemento fondamentale della filosofia di Argillae. 

Che cos’è la next generation nel mondo del vino?

La “next generation” nel mondo del vino si riferisce alle nuove generazioni di produttori, enologi, viticoltori e imprenditori che stanno portando una ventata di innovazione, freschezza e nuove visioni nel settore vitivinicolo. Non si tratta solo di una questione anagrafica, ma di un cambiamento culturale e stilistico.

Questi giovani protagonisti, spesso figli o nipoti di famiglie con una lunga tradizione vitivinicola, stanno reinterpretando il mestiere con uno sguardo attento alla sostenibilità, alla biodiversità, all’uso di tecnologie innovative e a una comunicazione più diretta e autentica. Portano avanti sperimentazioni in vigna e in cantina, recuperano vitigni autoctoni dimenticati, puntano su etichette dal design moderno e su storytelling che parlano al cuore delle nuove generazioni di consumatori. In sintesi, la next generation del vino è una forza dinamica che, pur rispettando il passato, guarda avanti, costruendo un futuro del vino più consapevole, inclusivo e connesso al mondo che cambia.

Perché è un tema così forte in questo momento?

È un tema così forte in questo momento perché il mondo del vino, come tanti altri settori, sta vivendo un periodo di transizione profonda. Ci sono diversi motivi che rendono la “next generation” un argomento centrale oggi:

Cambiamento generazionale naturale: in molte aziende vitivinicole storiche, è arrivato il momento del passaggio di testimone tra genitori e figli. Questo porta inevitabilmente nuove idee, approcci più moderni e una visione del mercato più attuale.

Nuove esigenze del consumatore: i consumatori di oggi – soprattutto le nuove generazioni – cercano vini che raccontino una storia, che siano sostenibili, autentici, trasparenti. La next gen risponde a queste richieste con una comunicazione diretta e una filosofia produttiva in sintonia con i valori contemporanei.

Focus su sostenibilità e innovazione: la giovane generazione è più sensibile ai temi ambientali e più incline a sperimentare tecnologie innovative, agricoltura rigenerativa, fermentazioni spontanee, utilizzo di energie rinnovabili, packaging ecologico, ecc.

Nuovi linguaggi e canali di comunicazione: social media, branding creativo, eventi esperienziali – la nuova generazione del vino parla il linguaggio di oggi, creando un dialogo più immediato con il pubblico e rendendo il vino più accessibile e meno elitario.

In breve, è un tema forte perché rappresenta un punto di contatto tra tradizione e futuro, tra radici profonde e nuove visioni. Ed è proprio lì che nasce il cambiamento.

Sostenibilità nel vino, importa davvero per la Next generation?

Sì, la sostenibilità conta — e molto — per la Next Generation del vino, ma non è l’unico obiettivo. È uno dei pilastri, ma non l’intera architettura. Per i giovani produttori, essere sostenibili significa prendersi cura della terra, ridurre l’impatto ambientale, lavorare in modo etico e pensare al futuro del pianeta. Ma la loro visione va oltre.

Questa generazione ha un’idea di vino che è allo stesso tempo etica, creativa e culturale. Accanto all’attenzione per l’ambiente, troviamo:

Autenticità: la voglia di produrre vini veri, che raccontino il territorio, la storia familiare, le scelte fatte in vigna e in cantina, senza filtri.

Innovazione: non solo tecnologica (energie rinnovabili, agricoltura di precisione), ma anche stilistica e comunicativa. Nuove etichette, nuovi formati, nuove esperienze di consumo.

Territorio e identità: la Next Gen ama valorizzare i vitigni autoctoni, le microzone, le tradizioni locali, riscoprendo l’unicità di ogni luogo.

Inclusività e comunità: c’è una forte spinta a rendere il vino più accessibile, meno elitario. Più spazio alla collaborazione tra cantine, ai progetti condivisi, al racconto autentico del lavoro quotidiano.

Per la Next Generation, insomma, la sostenibilità è una parte di un progetto più grande, che mette al centro l’umanità del vino: il rispetto per la terra, per le persone che la lavorano, e per chi il vino lo sceglie, lo beve e lo vive.

Quanto è importante avere oggi in azienda un volto che racconti il brand?

Oggi più che mai, avere un volto che racconti il brand è fondamentale. In un mercato saturo di prodotti e messaggi, le persone cercano autenticità, relazioni e storie vere. E nulla è più autentico di un volto — una persona reale, con passione, visione e un legame diretto con ciò che fa.

Nel mondo del vino, questo è ancora più vero. Il vino non è solo una bevanda: è cultura, territorio, esperienza. E avere qualcuno — il vignaiolo, la figlia del fondatore, il giovane enologo, la nuova generazione che prende in mano l’azienda — che mette la propria faccia e la propria voce a servizio del racconto crea un legame emotivo fortissimo con il pubblico.

Importatori, distributori, commercianti ti hanno considerato meno in quanto giovane? E in quanto donna? E all’estero?

Se mi hanno considerato “meno” perché giovane o donna? Può essere capitato ma non mi interessa molto, ho sempre cercato di dimostrare il valore del mio progetto e dei miei vini, tutto il resto era ed è secondario. Iniziando molto giovane ho fatto i miei errori, quello sì, ma questi sono fondamentali per crescere nel lavoro come nella vita. Oggi Argillae è sempre di più la cantina che avevo desiderato diventasse e ogni anno il progetto migliora e si perfeziona.

C’è stato qualche scontro generazionale da quando sei entrato in azienda?

No. Il mio caso di next generation è molto particolare perché la cantina, Argillae appunto, nasce come attività secondaria e accessoria rispetto al business principale della mia famiglia che è la distilleria, Bonollo. Quindi mancava una figura che si occupasse della cantina fino a quando non sono arrivata io.

Cosa vorresti dire agli altri vignaioli? Un consiglio su come migliorare che noti spesso nei colleghi?

Non saprei. Ognuno fa il proprio percorso e ognuno affronta le proprie sfide…

Qual è il vino della cantina che meglio rappresenta la next generation?

Direi l’Orvieto superiore, distribuito anche da Proposta Vini. Questo vino rappresenta la mia “mission impossible”, la mia sfida con la next generation ma di consumatori. Obiettivo? far tornare l’Orvieto a essere un vino “moderno”, “cool”, giovane nel gusto e nello stile. Anzitutto ho lavorato sul blend unendo alle varietà storiche (Procanico e Grechetto) due varietà internazionali come Chardonnay e Sauvignon Blanc. L’obiettivo? Un vino fresco, giustamente aromatico, con una bassa gradazione alcolica (12%vol): ideale per il consumo veloce al calice, per l’aperitivo come per il pasteggio. Un vino sì elegante e piacevole ma senza “fronzoli”, ossia senza troppe complessità da spiegare o da dover padroneggiare quando lo si assaggia.

 

Immagine di Camilla Rocca

Camilla Rocca

Una passione per il mondo del vino che parte dalle origini, si è allargata all’enoturismo e ai racconti delle persone, di quei volti, quelle mani, delle storie che sono dietro alla vigna

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