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Cerea e Sartorato, alchimia di sapori e una cantina da record Da Vittorio

Tempo di lettura: 3 minuti

Chicco e Fabrizio collaborano ormai da anni e insieme hanno plasmato, grazie alla loro intesa, una vera e propria macchina da emozioni tristellata

di Alessandra Meldolesi

Cos’è il ristorante Da Vittorio, tre stelle più tre stelle d’Italia, se non una macchina perfetta per accendere emozioni? Dei preziosi ingranaggi fa parte da 17 anni anche Fabrizio Sartorato, sommelier della famiglia Cerea, che tiene saldamente in pugno le chiavi di una delle cantine più importanti d’Italia, da lui forgiata in tutto e per tutto con piena fiducia da parte dei fratelli. “Fabrizio ormai conosce tutte le sfumature della nostra cucina e ciò che ci piace, quindi fa combaciare i piatti con il piacere dei vini”, assicura Enrico Cerea, detto Chicco.

Originario di Padova, Sartorato ha compiuto le sue prime esperienze nelle zone termali. “Poi quando ho capito che servivano le lingue, ho spedito una trentina di curriculum in Austria e in Tirolo. A Vienna ho trascorso 3 anni in un ristorante, che aveva la più grande cantina di Borgogna del paese, e in un altro famoso per il record europeo dei grandi formati. Poi sono partito per la Francia e mi sono fermato per 3 anni da Georges Blanc, mentre frequentavo i corsi da sommelier e l’Université du Vin di Suze-La-Rousse. Io e mia moglie volevamo andare in Inghilterra ed è successo che mi ha chiamato Diego Masciaga, direttore del Waterside Inn: ‘Michel Roux vuole conoscerti’. Ci ho passato altri 3 anni”.

Sartorato: Quando sono entrato in Cantalupa come capo sommelier, il ristorante, che si era spostato da un anno, deteneva due stelle. Avevo conosciuto Chicco al Waterside Inn, dove pranzava con la moglie. Io stavo per rientrare in Italia e un po’ per scherzo mi fa: “Non è che per caso hai un ragazzino che vuole venire in Italia?” Gli ho risposto che se avesse atteso un paio di mesi, sarei stato disponibile. La cantina al mio arrivo era già in questi spazi, ma ospitava 8-9 mila bottiglie, non le attuali 23mila. Ogni Natale restavamo un po’ scarichi e aspettavamo Vinitaly con le nuove uscite, perché non c’era il giro di adesso. La famiglia comunque ha capito che potevano fare affidamento su di me, per acquistare le cose importanti. Poi il lavoro è sempre cresciuto, da Expo a Christo, al dopo covid.

Oggi nella saletta sono affastellati entro cassettoni scorrevoli i Borgogna bianchi e rossi, poi negli anni abbiamo ricavato nuovi spazi di stoccaggio in un tunnel, che veniva utilizzato per i mobili estivi. Custodisce i vini nuovi che vogliamo tenere lì, piemontesi e toscani da dimenticare per 3 o 4 anni. Ma solo i Borgogna sono 1500. Non c’era però spazio di raffreddamento ulteriore per bianchi e bollicine, che volevamo aumentare, così abbiamo impiantato una vetrina refrigerata grande, che contiene 210 referenze di Champagne e 200 di bianchi, pronti per il servizio. Più i 6 frigoriferi di fronte al passe e gli altri 3 nell’office. Facendo 130 coperti al giorno, il giro è vorticoso e gli acquisti consistenti. Compriamo appena possiamo, sennò non troviamo più niente. E non possiamo mai fermarci: abbiamo avuto consegne anche fra Natale e Capodanno. L’anno scorso abbiamo comprato 23mila bottiglie e ne abbiamo vendute 20mila.

Cerea: Riponiamo piena fiducia in Fabrizio, anche se abbiamo altri tre giovani sommelier fissi, che gareggiano a fare corsi di aggiornamento. Quando parla lui, però, lo ascoltano sempre con attenzione, per l’autorevolezza di chi ha esperienza. È molto minuzioso nel far girare la cantina, sa cosa fare uscire prima o dopo. Si confronta volentieri anche con chi arriva per proporre piccole cantine di nicchia, che talvolta temiamo di lanciare in pasto alla speculazione. E conosce bene le mie passioni, soprattutto le bollicine. Una volta ogni settimana, al massimo due, dopo il servizio ci ritroviamo in sala, dove ogni partecipante, cameriere o sommelier, porta una bottiglia. Facciamo un tasting alla cieca, per vedere chi ci azzecca oppure ci arriva vicino. Io faccio un po’ fatica, ma mi diverto un sacco. Una volta ho portato uno Champagne abbastanza basico ed è uscito di tutto.

Sartorato: Chicco e Bobo amano il vino, ma qui ciascuno fa il suo lavoro. Loro studiano le novità e quando capiamo che c’è nell’aria un cambio menu, ci prepariamo all’assaggio. Siamo sempre due o tre, io, Andrea, qualche ragazzo. Allora cerchiamo di capire il piatto e cosa può andarci, ma non sottoponiamo mai il pairing agli chef. Piuttosto partiamo direttamente, in piena autonomia, controllando prima la disponibilità del prodotto, perché 3 bottiglie non bastano. Le cose cambiano se c’è un evento dedicato al vino. Per esempio abbiamo steso insieme il menu Lafite, ragionando anche sulle stagioni. È un confronto giornaliero, ma solo io ho le dinamiche di distribuzione e di vendita.

Cerea: È stato bello raccontarci i vini e costruire la cena insieme; Fabrizio stesso mi ha ricordato alcune ricette da abbinare, come il piccione con le melanzane sul Lafite ‘76. Ma solitamente il percorso viaggia in direzione contraria.

Sartorato: Abbiamo 5 menù degustazione, il tradizionale di pesce, quello di carne, quello misto, il carta bianca e il vegetariano; ognuno ha il suo pairing fisso, più l’analcolico. Per farne parte, un vino deve essere buono, deve invogliare al secondo bicchiere. Chi aspetta un tavolo per 6 mesi, quando finalmente arriva deve poter dire: wow!

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