Tra territori storici e nuove promesse, ci immergiamo nel fascino dell’unione tra vino, paesaggio, bellezza, cultura e stile di vita della regione più conosciuta e mediatica del vino italiano nel mondo.
di Alessandra Piubello
Pensi alla Toscana e vedi un luminoso paesaggio – capace di ispirare le menti eccelse di artisti e poeti – di pievi, possenti manieri, borghi medievali, abbazie, case coloniche in pietra, colline disegnate come espressione di un equilibrio interiore e spirituale. Si ritrova la stessa grazia e precisione dell’arte rinascimentale votata alla perfezione della forma. Terre dal caloroso abbraccio, dove incontri un miliardario, un principe o un avvocato diventati contadini, e contadini divenuti principi e baroni del vino. Terra di nomi antichi, ricchi del mistero onirico, che s’incurva nei paesaggi della pittura senese del Trecento, terra che fiammeggia attraverso la cinepresa di Bertolucci negli assolati meriggi di Io ballo da sola; terra da bere, da respirare, da assaporare con tutti i sensi dispiegati.
Un territorio impareggiabile per bellezze artistiche e paesaggistiche
ma unico soprattutto per il rapporto
tra territorio-vitigno-bagaglio culturale dei viticoltori.
La Toscana è la regione più conosciuta e mediatica del vino italiano nel mondo, ormai ben ancorata nell’immaginario collettivo. Vivere qui è il sogno di molti, pronti a immergersi nel fascino dell’unione tra vino, paesaggio, bellezza, cultura e stile di vita.
La Toscana è stata l’artefice della lunga rincorsa che ha portato la vitivinicoltura italiana a gareggiare con quella francese in qualità. Se guardiamo indietro, a metà Ottocento fu il barone Ricasoli a “codificare” la ricetta del Chianti con uve autoctone, destinata a invertire la marcia della lunga decadenza della vitivinicoltura italiana. Il Brunello di Montalcino, uno dei vini più celebri al mondo, deve all’intuizione di Ferruccio Biondi Santi la sua nascita nel 1888. Dalla fine degli anni Sessanta ci fu un nuovo, impressivo impulso: grazie alla visione del Marchese Mario Incisa della Rocchetta con il suo Sassicaia da vitigni internazionali (1968) e sull’onda di un enologo geniale e di mente aperta come Giacomo Tachis, arrivarono i primi supertuscan, estranei a qualsivoglia denominazione, (con il Tignanello, poi altri seguirono le sue orme: Ornellaia, Masseto, Paleo e ancora, ancora, non solo con vitigni internazionali, ma anche 100% sangiovese, come Le Pergole Torte, Cepparello, Flaccianello, Fontalloro…) destinati a salire le più alte classifiche mondiali e a riaprire la strada all’ascesa dei vini toscani sul mercato internazionale.
La Toscana non si è mai fermata, ha sempre puntato in alto. La propensione al rischio dei produttori che hanno costantemente investito nelle loro aziende con passione è stata determinante.
Il panorama contemporaneo che emerge è estremamente dinamico e cangiante, con una visione a lungo raggio, propensa all’innovazione senza dimenticare la forza dei lieu-dit. Non solo grandi classici, peraltro al centro di percorsi di rinascita o ridefinizione, ma anche nuove consapevolezze e inediti interpreti si fanno strada in questo universo enologico connesso con le genti. Sul terreno della Toscana si sfidano i migliori talenti enologici del nostro paese, grandi gruppi internazionali, famiglie nobili che fanno vino da secoli e vignaioli con pochi ettari.
Osservando la mappa della Toscana salta subito all’occhio come sia incastonata in una cornice naturale che quasi protegge il suo territorio. La catena montuosa degli Appennini definisce il suo confine da ovest a sud-est; il mar Tirreno lambisce suo confine occidentale. L’interno del territorio toscano è caratterizzato da numerose valli principali e secondarie in cui scorrono fiumi e corsi d’acqua e le zone pianeggianti sono pressoché assenti. La sua configurazione rappresenta una serie ininterrotta di situazioni ambientali differenti sia dal punto di vista orografico sia climatico. Il suolo poi è molto vario e comprende calcare, marne, galestro, alberese, arenarie e argille. La vite trova una collocazione ideale in tali condizioni ambientali.
“Il cor si spaura” a raccontare delle undici Docg, delle quarantun Doc, passando per le sei Igt nelle poche righe concesse. Iniziamo affermando che il sangiovese è la spina dorsale della regione, ed entra in quasi tutte le Docg (le uniche da cui è escluso – due su undici – riguardano l’unico vino bianco Docg, La Vernaccia di San Gimignano e un passito, l’Elba aleatico). Un vitigno che è una lente d’ingrandimento sul singolo terroir, esprimendosi in modo eclettico a seconda delle zone. Così, a Carmignano in provincia di Prato, tra le zone più antiche del vino italiano (il primo documento storico risale al IX secolo), genera rossi di spessore che si avvalgono anche del contributo del cabernet sauvignon e cabernet franc. La culla del sangiovese resta il Chianti classico, suddiviso tra le province di Firenze e Siena. Il Chianti classico vanta un importante primato storico mondiale, quello di essere stata la prima zona vinicola delimitata per legge. Oggi più che mai protagonista, ridefinendo il suo stile con sfumature sempre più eleganti, giocate sulla finezza, sulla dinamica gustativa e legato ai diversi terroir che lo compongono, finalmente orgogliosamente rivendicati nelle undici Unità Geografiche Aggiuntive. All’interno della galassia del Chianti che coinvolge sei province e sette diverse sottozone si ritrovano nell’assemblaggio altri vitigni con esiti eterogenei. A Rufina le particolari condizioni microclimatiche (siamo a ridosso dell’Appennino tosco-romagnolo con altitudini che arrivano a 600 metri) danno vita a dei Chianti agili e di spiccata personalità. Da menzionare il marchio collettivo rufinese Terrelectae, destinato alle riserve che nascono da singolo vigneto con sangiovese in purezza.
A Montepulciano, dove il sangiovese si chiama prugnolo gentile, il Vino Nobile disegna un profilo più austero. Con il lavoro sulle Pievi (dodici Unità Geografiche Aggiuntive), si sta puntando a una maggior attinenza al territorio. Maggiormente inclini al frutto, allo slancio gustativo sono le variazioni sul tema proposte dall’Orcia e dal Morellino di Scansano. In Maremma lungo tutta la costa il sangiovese, che pur conosce isole proprie (spicca tra le altre quella di Montecucco), cede spesso il passo ai cabernet e al merlot come ad esempio in Val di Cornia, in quella provincia di Livorno dove i bordolesi giungono al loro apogeo nella zona di Bolgheri all’ombra dei celebri cipressi di Castagneto Carducci e illuminati dal riverbero del mare. La “vocazione marittima” toscana si esprime anche nelle denominazioni Val di Cornia e Suvereto, Terratico di Bibbona e Montescudaio, territori di sperimentazione di vitigni alloctoni e autoctoni, oltre che di moderne tecniche di vinificazione di ispirazione internazionale. In Maremma stanno ottenendo ottimi risultati alcune versioni in purezza di ciliegiolo, vitigno imparentato con il sangiovese.
La strutturata e sapida regina bianca Vernaccia di San Gimignano, difesa dalle sue quattordici torri, è un incontro con la storia (i primi documenti risalgono al XIII secolo) e con la sua anima contemporanea. L’unico caso toscano in cui la coltivazione di vitigni a bacca bianca è maggioritaria, soprattutto col Vermentino, è rappresentato dai Colli di Candia e dai Colli di Luni, in provincia di Massa Carrara. Non possiamo dimenticare il Vin santo e la sua tradizione secolare, – ne esistono in tutta la Toscana -, ottenuto nelle sue versioni più diffuse, da uve malvasia lunga e trebbiano toscano appassite e lasciato affinare per lunghi anni nei caratteristici caratelli (piccole botti di legno).
Tra le aree emergenti vanno citati il distretto della biodinamica delle colline lucchesi, i vini dell’Appennino (pinot nero in testa), il syrah di Cortona, l’ansonica dell’isola del Giglio e altri che avrai il piacere di scoprire Tu stesso. Qui c’è un paradiso che non può attendere…