di Andrea Grignaffini
All’origine c’era il Grande Piatto. Il “capolavoro” creato dall’artista del gusto che definiva il tono di un viaggio sensoriale spesso omogeneo, inciso dalla coerenza e dalla finitezza dei piatti, in un crescendo letto in base alla natura degli ingredienti e alla loro intensità. Insieme al Grande Piatto si sorseggiava il Grande Vino, nella consacrazione di una liaison che sublimava il pasto in tutte le sue tappe, non solo evocando una caratteristica imprescindibile della nostra tradizione gastronomica, ma rappresentando, nella ristorazione d’autore, uno dei pilastri ontologici dell’esperienza gustativa. Certo non mancarono nella storia dell’alta cucina italiana spunti radicali profondamente lontani dal comune sentire, come quel Maestro che suggeriva di rinunciare in toto al vino nell’approccio al Grande Piatto, giacché solo pasteggiando con acqua sarebbe stato possibile interiorizzarne appieno ogni sfumatura di un piatto già “chiuso” alla perfezione. La verità, tuttavia, è che si coglieva in quell’equazione un sistema praticamente indiscutibile, lapalissiano per natura: Grande Ristorante, Grandi Piatti, Grandi Vini. Poi qualcosa cambiò. A cambiare, in particolare, fu la concezione stessa del cibo, delle forme e dei modi eletti dai migliori cuochi per veicolare attraverso il menù le proprie visioni: essi cominciarono a frammentare, a verticalizzare, a scoordinare. Concependo livelli di comunicazione inediti tra le portate, si arrivò a declinarle secondo nuovi limiti di coerenza e diversificazione, propri di ogni percorso di degustazione. Al contempo, anche la proposta del vino in abbinamento si è frammentata e sempre più raramente l’eccellenza dei Grandi Vini ha proseguito ad essere protagonista, come succedeva in passato, sulle tavole dei migliori ristoranti; con la preziosa dicotomia tra le due galassie che pur non venendo meno prende a lesinare in equivalenza, rischiando di relegare i vini del mondo mainstream fuori dalle sale dei locali più affermati. Così tra i ristoranti più celebrati spiccano sempre meno esempi in cui l’arte della cucina e quella dei sommelier riflettono entrambi la medesima qualità; per godersi una bottiglia non solo buona, ma ottima, oggi più che mai più ci si ritrova a scegliere mete diverse, luoghi in cui il rapporto, ormai diremo di forza, s’inverte magari con il cibo che par giocare un ruolo secondario mentre il Grande Vino torna in scena. Sembra che ai massimi livelli l’intreccio tra due mondi si stia allentando, e la loro contestualità sulle medesime tavole progressivamente svanendo. Due mondi che stanno viaggiando su binari paralleli ma che paiono allontanarsi sempre di più. E che fanno fatica a capirsi. Il grande chef vede e vuole cristallizzare il piatto e il menù come protagonisti, il vignaiolo che vuole in primis assaggiare e far degustare i suoi vini con piatti di concezione più semplice che non sviino l’attenzione dal liquido. Più che un circuito, un cortocircuito.
Andrea Grignaffini: docente di enogastronomia, critico e gastronomo tra i più preparati del nostro tempo, da febbraio 2024 è il nuovo direttore editoriale di Vendemmie.